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08 nov 2014

Scegliere di morire

di Luciano Caveri

Vorrei dire subito, per evitare equivoci, che rispetto chi per motivi religiosi rifiuta in tutto e per tutto il ricorso all'eutanasia. Capisco che chi è convinto della sacralità della vita respinga qualunque forma di morte assistita. Ma questo - che può valere anche per un laico per proprie intime convinzioni - non deve impedire al Legislatore di affrontare il tema, ritenendo che la materia vada regolamentata per evitare una "terra di nessuno". Anzitutto perché, come dimostra la scelta di molti italiani di uccidersi in Svizzera, secondo le regole sancite nella Confederazione elvetica, il problema esiste e si manifesta con la presenza di malattie perniciose e aumenterà con i problemi di una vita mediamente più lunga. Per cui far finta di niente significa solo spingere le persone, convinte di questa passo estremo, a spostarsi laddove si può scegliere di morire, avendo certezza del Diritto contro rischi esistenti di uscire dal seminato. La vicenda più recente e anche commovente è così raccontata da Valentina Cervelli su "MedicinaLive": "Ha abbandonato la sua vita come aveva deciso, prendendo in contropiede quel cancro che l’aveva condannata a soli sei mesi di vita dalla sua diagnosi. Se ne è andata così, in silenzio, Brittany Maynard, proprio come aveva desiderato, attraverso il suicidio assistito. Il cancro al cervello che ha colpito la ragazza, il glioblastoma multiforme, è uno di quelli che non lascia scampo. Aveva provato a curarsi, ma non c'era stato nulla da fare. E' stato quando si è persa ogni speranza che in insieme al marito ed alla famiglia si è recata in Oregon dove la dolce morte del suicidio assistito è contemplata ed ha fatto domanda per poterla attuare. E' morta nel suo letto, tra le braccia dei suoi cari nel giorno che aveva inizialmente preventivato, il 1° novembre. Solo Brittany sapeva quanto un simile passo sarebbe potuto essere difficile da compiere". Ripeto: chi non è d'accordo lo fa legittimamente, ma chi in Vaticano ha tirato in ballo la "dignità" avrebbe vinto un premio a star zitto, compreso chi su "Avvenire" l'ha criticata «per non aver voluto affrontare il dolore». Taccia anche chi ha parlato di un'eccessiva mediatizzazione del caso. Penso che anche per un gesto estremo come questo ci voglia coraggio, così come va compresa la volontà di creare con una vicenda personale un "casus belli". In Italia - il Paese dai mille tentennamenti - spetta al Parlamento, come avvenuto in tanti Paesi nel mondo, fare il suo dovere e trovare l'equilibrio giusto fra la libertà e l'autodeterminazione del singolo ed il rischio di abusi e facilonerie. Non farlo significa solo, come dicevo, alimentare "viaggi" per morire, dove è consentito sulla base di regole. Oppure - come capita in Italia - il problema si affronta di nascosto, grazie alla discrezionalità e alla disponibilità dei medici che, in una logica compassionevole ("dolce morte" è un'espressione che non userei mai), si trovano a fare delle scelte sul crinale fra la vita e la morte, spesso quando ormai la vita - per scienza e coscienza - ha una logica vegetale. Ma questo crea, in un momento delicato per chiunque ne sia coinvolto, situazioni potenzialmente discriminatorie. Spetta, infatti alla legge, nel rispetto assoluto di chi obietti e non voglia sentir parlare di eutanasia, consentire situazioni di assoluta eguaglianza fra quei cittadini che vogliano liberamente operare una propria scelta consapevole. Uno Stato inerte che, di conseguenza, decida in mia vece non mi piace. Per sdrammatizzare ricordo quella fulminante battuta di Marcello Marchesi: «L'importante è che la morte mi colga vivo». Fa sorridere, ma fa anche pensare.