Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
07 nov 2014

Dal pettegolezzo al gossip

di Luciano Caveri

Chi ha conosciuto dei veneziani e ha avuto a che fare con la loro ironia acuta e canzonante - segno di una storia profonda che li ha forgiati - non si stupisce affatto che la parola "pettegolezzo" derivi dalla loro lingua (guai a chiamarlo dialetto!). Ricordo - lo dico per inciso - il mio collega parlamentare, Mario Rigo, che ricordava intelligentemente, così come qualche anno dopo mi confermò Massimo Cacciari, di come essere sindaco di Venezia finisca per consentire di avere ancora oggi un rango quasi da ministro, visto che chiunque conti nel mondo in Piazza San Marco e nel Palazzo Ducale, oggi Municipio, prima o poi ci deve passare. Ma torniamo al temine "pettegolo", che risale al XVI secolo, nel significato di "chiacchierone indiscreto o maligno": dal veneziano "petegola", derivazione - e questa è un'intuizione giocosa di cui non ci si può non congratulare - di "peto", dalla locuzione "contar tuti i peti", elegantemente interpretata dal dizionario etimologico in "raccontare tutti i particolari insignificanti". Mentre io trovo - ma lo dico rozzamente, rispetto alla dolcezza ipnotica del veneziano - che "peto" (diversamente da "scorreggia", metafora più pecoreccia che viene da "perdere la correggia" e cioè "lasciare andare la cinghia che tiene il ventre") mette assieme rumori e odori, dando esattamente la sensazione sgradevole, orecchio e olfatto, del "pettegolezzo". Ma oggi si usa molto di più, perché opera una forma di travestitismo e "fa fine", il sostantivo inglese "gossip", usato in italiano al maschile, che dalla enciclopedia "Treccani" on line è definito come "Pettegolezzo, chiacchiera indiscreta o mondana, specialmente nel gergo giornalistico".
"Questa parola - traggo dal blog di "Tiscali" - è entrata prepotentemente nella lingua italiana, sta ad indicare la stampa scandalistica, quella che tradizionalmente era chiamata cronaca rosa, genere antichissimo diffusosi oggi attraverso internet. Proliferano, infatti, i blog dedicati alle vicende dei personaggi famosi e alcuni siti di gossip sono considerati una fonte attendibile di anticipazioni di notizie che non passano subito attraverso altri canali informativi. L'etimologia della parola gossip si fa risalire all'Old english "godsibb", padrino. L'elemento "sib" significa "parente, congiunto, relazione di sangue" ed è rimasto in inglese moderno con la parola "sibling", fratello o sorella ovvero ognuno dei figli di una coppia di medesimi genitori". In questo assomiglia alla storia di "commérage", pettegolezzo in francese, che viene da "commère" (comare nel senso di madrina). Ecco la conclusione, segno dei tempi: "Col tempo la parola "gossip" si è estesa a qualunque amico, uomo o donna, ma in particolare alle donne presenti per assistere le partorienti. Per estensione la parola è passata a definire il chiacchierare nell'attesa di un evento e il diffondere notizie, pettegolezzi. Quindi gossip è passato dalla sala parto ad Internet". E' interessante l’evoluzione, in un'Italia dove a comprare il settimanale "Chi" sono mediamente tre milioni di persone e dove il quotidiano, un tempo comunista, "L'Unità" sta per essere comprato dall'editore di "Stop" e "Vero". Ma oggi il pettegolezzo viaggia soprattutto in Rete e i "social" sono cassa di risonanza di qualunque tipo di retroscena o di malevolenza, che non è notizia vera e propria ma sfocia appunto in pettegolezzo. Un genere di cui già si è impadronito da tempo la televisione, specie nella fascia pomeridiana a caccia di un pubblico medio-basso (ma in realtà il pettegolezzo non è classista e si applica a tutti i livelli) in cui il gossip non è solo più attrici e reali, ma anche scavo voyeuristico nella cronaca nera e pure nella politica. Il pettegolezzo mi ha sempre divertito e in Valle la rete dei bar ha anticipato Internet. Su di me, ad esempio, ne scopro sempre delle nuove ed è passato il tempo in cui mi arrabbiavo, specie quando si oltrepassava il limite della decenza. Si ascriveva un tempo una famosa frase a Giulio Andreotti "Nel bene o nel male, purché se ne parli", che in realtà è una frase di Oscar Wilde. Penso che lo stesso senatore Andreotti, durante i processi in cui venne poi assolto dall'accusa di vicinanza con la Mafia, abbia pensato che quella frase contenesse, alla fine, una forte dose di veleno. Come dicevano i latini: "Audacter calumniare, semper aliquid haeret". Tradotto: "Calunnia con spudoratezza, qualche cosa resterà sempre".