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31 ott 2014

I giorni del ricordo

di Luciano Caveri

Quando ero bambino, questi giorni autunnali che precedono il periodo del ricordo dei morti erano occasione per tristi pensieri. Il giro dei cimiteri e discorsi familiari sugli scomparsi mi mettevano una vaga angoscia. Prendeva in sostanza corpo quell'angolo della casa - un muro nello studio - dove nel tempo aumentavano le foto dei morti, cui la mia famiglia era più legata. Quadretti che - lo dico tra parentesi - mia madre ottuagenaria, Brunilde, ha fatto sparire o perché non c'era più posto sul muro per la numerosità dei defunti o perché a una certa età avere fantasmi in giro non fa piacere. Ricordo in particolare un periodo in cui avevo sentito che mio papà, che sarà stato quarantenne, aveva un piccolo problema cardiaco e io - in questo periodo di fine ottobre - mi ero posto per la prima volta di fronte alla morte. La stessa cosa avvenne quando per la prima volta mi portarono da vicino a "vedere un morto" e quell'immagine di uno zio steso lì nella bara e del Rosario recitato attorno al feretro mi avevano angosciato mica da ridere. Ma è capitato anche di vedere diversamente la questione. Anni fa, per motivi politici, feci una cena con rappresentanti di pompe funebri per certi loro problemi amministrativi e mi confortò la conferma che la gran parte di loro - in parte per reazione - risultassero dei simpaticoni. Non vi dico la faccia degli altri avventori del ristorante, mentre questi mi spiegavano delle bare che devono avere gli sfiati per non scoppiare o della distanza necessaria fra cimiteri e case abitate. Ma tutto in un clima ridanciano, che mi ha convinto di come ogni lavoro vada preso con filosofia. Poi, con il passare degli anni, la morte e i morti ti sfiorano con crescente regolarità e non c'è logica cui appigliarsi. L'unico elemento positivo è che non ci si pensa sempre. Anche se, nel flusso del tempo, qualche calcolo, per quanto astruso lo fai, su quanto potenzialmente hai ancora da vivere. Ma, trattandosi in fondo di una sorte di "roulette russa" con meccanismi impenetrabili, son pensieri che passano non avendo certezze su come e quando quel traguardo arriverà. Oggi da adulto, facendo una trasmissione su Sentimenti e Stati d'animo, non potevo che scegliere - con Elena Meynet - il tema ostico del Dolore in questo periodo così evocativo. Domani in radio su "RaiVd'A" le voci sul tema non saranno banali: da un inviato su scenari di sventure come Mimmo Candito alla medicina popolare (una serie televisiva sul tema sta avendo un successo di pubblico) con Anna Montrosset, dalla Storia con Paolo Momigliano Levi all'agopuntura e il dolore "orientale" con Giuseppe Lupi. Brani musicali e contributi sonori in tema consentiranno di ricordare il dolore e una persona straordinaria come Giovanni Paolo II e un luogo terribile come Auschwitz. E' da notare come, dopo secoli e secoli, con quell'americanata di Halloween - ormai praticata anche da noi - torna una dose omeopatica di quelle radici celtiche che sono parte del passato della Valle d'Aosta e alle origini di quella mascherata del "dolcetto scherzetto", che oggi pare uno sberleffo rispetto al mesto arrivo del Novembre.
E' vero, però, che gioia e dolore si inseguono nella staffetta degli eventi. Ha così ragione Kahil Gibran a osservare: "Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potete contenere". Speriamo, quando capita, che sia così.