Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
31 ott 2014

"Quando la Cina..."

di Luciano Caveri

«Quand la Chine s'éveillera, le monde tremblera». Se si parla della capacità dei politici, talvolta, di avere una visione previsionale, allora torna in mente questa frase pronunciata da Napoleone Bonaparte nel 1816 - dopo la sua definitiva caduta - mentre era imprigionato nell'Isola di Sant'Elena, in mezzo all'Oceano Atlantico, dove morirà cinque anni dopo. Il Generale aveva letto un libro di viaggi di un ambasciatore della Gran Bretagna, Lord George Macartney, che aveva guidato nel 1792 la prima missione commerciale britannica in Cina, voluta dal re Giorgio III. Un altro politico e ambasciatore, Alain Peyrefitte, scrisse nel 1973, un libro non a caso e analogamente intitolato "Quand la Chine s'éveillera, le monde tremblera". Un altro tassello, che poi è stato nell'ultimo mezzo secolo composto con una velocità pazzesca e che ha confermato l'affacciarsi sul mondo della potenza cinese, che resta difficile da capire sospeso oggi fra comunismo liberticida e capitalismo rampante. Mi è capitato - solo per parlare di un argomento che conosco - di parlare con amici africani, che segnalano come il loro continente oggi sia letteralmente invaso dall'affarismo cinese. Altro elemento macroscopico, anche per chi non è uno specialista, sono stati i Giochi olimpici del 2008 e l'Expo mondiale del 2010. Ricordo, quando ero europarlamentare e Romano Prodi era presidente della Commissione, un pomeriggio in cui ci raccontò in dettaglio di un suo viaggio a Shangai in cui ci spiegava le nuove frontiere di sviluppo impressionante di quel mondo. Lo stesso fece, anni dopo, l'allora rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, quando trattavamo l'utilizzo del rinato cotonificio di Verrès per ospitare l'Ateneo. Nei suoi numerosi viaggi in Cina era rimasto impressionato dalle ambizioni e dall'organizzazione, che può contare su un capitale umano enorme. Ho poi parlato con valdostani che sono stati là - chi specialista di agopuntura, come Giuseppe Lupi, o Martina Merlet, che si occupava di turismo e impianti a fune - ed ogni volta ne ho ricavato, pur non essendoci colpevolmente mai stato, l'impressione di un gigante destinato sempre più a muoversi ed è quanto, sempre più, sta avvenendo. Sono quattro gli aspetti che possono investire un comunità piccola come quella valdostana. La prima, la più banale, è il diffondersi di una rete di commercio cinese, che pare avere quella disponibilità finanziaria che altri non hanno e un'impressionante frugalità di vita e di sopportazione di ritmi di lavoro molto elevati. La seconda - a cavallo fra comunità cinesi in Italia e cinesi provenienti dalla Madre patria - riguarda la Casa da Gioco di Saint-Vincent, che accarezza due diverse clientele: quella di provenienza da grandi città italiane, con limitata capacità di gioco, ma con una forte propensione al vizio e poi quella di provenienza dalla Cina, via Macao, il loro tempio del gioco d'azzardo, con inquietudini di diverso tipo per questa clientela "vip" capricciosa e pure inquietante per eventuali traffici finanziari sottostanti. Persino in Cina sono state poste norme severe sull'antiriciclaggio e l'Europa è severissima sul tema. Il terzo filone, che può essere in parte legato a quest'ultimo, è di come nelle Alpi ci si farà concorrenza per accogliere flussi di una clientela, che certamente sarà incuriosita dalle nostre montagne, mano a mano che crescerà il reddito medio e sarà facilitata l'uscita dal Paese. Clientela che può avere volumi impressionanti, ma anche problemi di accoglienza e di mediazione culturale per niente semplici. Infine la vecchia questione del rapporto, per quel che resta, dell'industria locale con quella gigantesca realtà e non mi riferisco, perché ne ho troppo parlato, alla scelta della grande compagnia energetica valdostana, "Cva", di approvvigionarsi con materiale di provenienza cinese. Il tempo chiarirà bene queste questioni e le loro implicazioni. Mi riferisco, semmai, alle aziende che agiscono in Valle è che hanno provato la delocalizzazione con alterne fortune, altri invece si confrontano con la concorrenza delle produzioni laggiù e questo può riguardare settori di lavorazioni metalmeccaniche importanti e anche la siderurgia. Si tratta, come sempre in questi casi, di capire bene di studiare i dossier, perché ci sono certamente - come in tutto - rischi ed opportunità in questo rapporto con la Cina. Ma quel che premia è sempre approfondire le cose e non fidarsi solo del proprio fiuto, ma avvalersi di chi conosce davvero le cose. Manca, insomma, un disegno.