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28 set 2014

La guerra all'Isis e la paura

di Luciano Caveri

Ogni volta che si parla di estremismo islamico confesso disagio e paura. Disagio perché la materia è complessa e la rete di alleanze richiede per noi occidentali il rischio di non capire niente e di prendere degli abbagli nella comprensione e soprattutto nelle azioni. Paura perché, nel momento in cui si entra in guerra ed è quanto sta avvenendo contro l'Isis (uso questo acronimo per comodità ma la definizione può variare), lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, si sa bene che la vendetta opererà qui da noi e con meccanismi di spettacolarità e spietatezza che creano forti preoccupazioni. Non si ha che fare con persone pronte a chissà quale compromesso: siamo infedeli da sradicare dalla faccia della terra e chi lo fa, se muore, finisce dritto nel loro paradiso. Dunque, con il beneficio d'inventario, anche l'Italia ha oggi di fronte, un avversario che minaccia in particolare Roma, con la simbologia ben più vasta derivante dal Vaticano. A farlo - con farneticazioni purtroppo da prendere sul serio - è questo gruppo terroristico di natura jihadista guidato da Abu Bakr Al Baghdadi. E' un gruppo, fattosi ormai esercito militante, che deriva da "Al Qaeda": Al Baghdadi successe ad Abu Musab Al Zarqawi, capo di "Al Qaeda" dopo la morte in azione americana di Osama Bin Laden, dopo l'11 settembre "nemico pubblico numero uno". Quando Al Zarqawi morì in Iraq, Al Baghdadi divenne il capo dell’Isis e da questa leadership sanguinaria nasce quanto stiamo vivendo, per ora distante geograficamente, ma temo che ci saranno fatti terroristici che ci ricorderanno come ormai ogni cosa abbia ormai una portata globale. I jihadisti vogliono un Califfato stabilizzato come Stato e chi minimizza, dicendo che in fondo è una "scelta interna", che dimensiona diversamente quegli Stati nati per le nostre scelte colonialistiche, deve ricordare che questi invasati mirano ad un controllo del mondo, cui imporre la "Sharia", ovvero la legge islamica nella sua versione rozza e brutale. Lo si è visto - solo per fare un esempio - con quanto sta avvenendo contro i cristiani ed altre minoranze religiose e anche con lo stillicidio di morti per decapitazione dei poveri ostaggi occidentali, ammazzati per propaganda in favor di telecamera. Questo avviene con giubilo di troppi nel mondo islamico e anche con silenzi che sanno talvolta di una sorta di simpatia. Anche per questo quel che più preoccupa è il fatto che la rete dell'Isis si sia allargata oltre il già proclamato Califfato attraverso anche i soldi derivanti dal pagamento dei riscatti e dai soldi del Qatar, dove andare a fare i campionati del mondo di calcio del 2022 - pure comprato - sarebbe da cretini. L'aspetto più oscuro è proprio il proselitismo verso gli occidentali, non tutti di origine araba ma anche dei convertiti, che sono reclutati grazie all'azione di propaganda sul Web e da predicatori che convincono a unirsi alla "guerra santa" e non solo andando laggiù ma anche stando qui. Gli arresti, per altro segretissimi, nella vicina Svizzera, sono un segno evidente e lo sono le molte inchieste svolte in Italia e finite in Tribunale troppo spesso con un nulla di fatto e terroristi tornati in circolo, che potrebbero essere quelli che ci colpiranno da qualche parte. Per altro, è certo che la partecipazione italiana all'azione internazionale contro l'Isis accresca i rischi. In altre occasioni, l'uso della guerra mi aveva visto assai dubbioso e lo stesso caso iracheno, come si è sviluppato sino ad oggi, per non dire della Siria, mostra come l'Occidente si muova spesso con goffaggine e facendo danni. Tuttavia questa volta confesso di non capire bene quale potrebbe essere l'alternativa a fronte di un nemico violento e irragionevole, che se potesse ci ammazzerebbe tutti o - nella migliore delle ipotesi - ci obbligherebbe ad abbracciare la loro religione. L'uso della forza è in certe circostanze l'extrema ratio, quando il "piano B" personalmente mi sfugge.