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12 set 2014

La Televisione e il "caso francese"

di Luciano Caveri

Una volta l'anno "assaggio", nel mio piccolo campo d'azione, le grandi produzioni televisive - nella vasta gamma di prodotti possibili - a Biarritz, straordinario luogo di mare oceanico, in occasione di "Le Rendez Vous" di "TV France International". Sono presenti qui i grandi produttori e distributori francesi e i compratori vengono da tutti i Paesi del mondo, in una Babele che dimostra come le frontiere, almeno in questo settore, non ci siano più. La passerella, che è in realtà un vero e proprio mercato in cui si vedono i prodotti e si firmano contratti, dimostra come la Francia ci tenga a supportare tutto ciò che - come in questo caso - abbia a che fare con la competitività delle proprie intelligenze. Non è un fatto solo linguistico, come potrebbe essere intesa la battaglia francese per la "diversité culturelle" specie di fronte alla potenza di fuoco dell'inglese, quanto l'idea, applicabile anche alla televisione e ai molti supporti visivi legati ormai ad Internet, che ognuno nel produrre per questi media metta la propria anima, il proprio "savoir faire", la chiave di lettura derivante dalla propria cultura, il sedimento di un mondo artistico particolare. Questo vuol dire documentari, film, format di vario genere e anche cartoni animati. La televisione e affini significa la continua ricerca, in parte con la schiavitù degli ascolti e nel vecchio confronto fra le televisioni del servizio pubblico e le logiche commerciali, di novità nel perenne inseguimento di un pubblico che cambia. E oggi non è solo più una questione di gusti, ma anche di tecnologie che fanno e disfano i successi nel settore. Lo sa bene chi non ha ancora formule di "streaming" o "podcast" che allarghino le possibilità di visione e di ascolto di un pubblico che magari nell'ora di trasmissione fa altro. Ma torniamo al "caso francese": il prodotto, a seconda di dove sarà venduto, verrà doppiato in altra lingua o sottotitolato, ma quel che conta è mantenere vivo il settore audiovisivo transalpino e non chiuderlo al solo mercato interno. Così facendo, il ruolo del supporto pubblico non agisce in una logica di violazione della concorrenza, ma lenisce semmai quegli elementi che rischiano di pesare come una diseguaglianza per gli imprenditori nel settore televisivo. Ovvio che da qui si osservi con curiosità il destino delle televisioni regionali, la cui taglia è assai diversificata: ci sono Regioni più grandi di Stati e ci sono Regioni, come la Valle d'Aosta, molto piccole, ma che certo non possono fare a meno di avere un proprio sistema radiotelevisivo. Tema difficile con un mercato pubblicitario piccolino e dunque, a maggior ragione, il servizio pubblico radiotelevisivo ha un ruolo, non a caso, prevalente. Ma, mentre il perimetro dell'informazione è abbastanza chiaro, non lo è per quanto riguarda il settore dei programmi, su cui ovviamente pesano budget a basso costo. Mercati come quello di Biarritz consentono di trovare - a prezzi non stratosferici nel rapporto con il numero di telespettatori valdostani - dei filmati su Alpi e montagna, che possono consentire di aprire finestre che escano dai confini di appartenenza. Chissà cosa avverrà nel futuro, nella logica dei nuovi canali di trasmissione, quelli ostili alla televisione regionale (come il satellite che "oscura" il locale a beneficio del nazionale), quelli che sono invece utili (come Internet che azzera i costi dei ripetitori) e quelli problematici (il digitale terrestre in zona montana è capriccioso in caso di maltempo). Ma conta anche l'idea fondamentale che attorno alla televisione - che resta il mezzo "grand public" - orbiti un mondo ideativo e produttivo che deve trovare il modo di esprimersi, perché anche questa è, senza dubbio alcuno, Cultura.