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09 set 2014

In partenza il Tor des Géants

di Luciano Caveri

Domani partono per il loro cimento e faccio, alla vigilia, i miei migliori auguri a tutti i partecipanti del "Tor des Géants". La massacrante corsa in montagna valdostana, così viene brevemente raccontata dal sito dell'organizzazione privata - con vasto sostegno pubblico - che la organizza e ne detiene il marchio: "ll percorso si snoda lungo le due "Alte vie" della Valle d'Aosta con partenza ed arrivo a Courmayeur per un totale di circa 330 chilometri (200 miglia) e 24.000 metri di dislivello positivo, seguendo per prima l'Alta via n° 2 verso la bassa Valle e ritornando per l'Alta via n° 1. Il passaggio ai piedi dei 4.000 valdostani rende il percorso di una bellezza unica". Sottoscrivo e sottolineo questa definizione "bellezza unica", che probabilmente diventa per chi corre di giorno e di notte un elemento piuttosto secondario rispetto alla sfida con sé stesso e con gli altri, che è il sale della competizione. Si parte da Courmayeur e si torna a Courmayeur con un galoppata molto impegnativa per la gran parte dei corridori e con un coinvolgimento dei volontari che assistono e che controllano senza il quale la macchina organizzativa non starebbe in piedi. Sono relativamente pochi gli atleti "professionisti" che possono fare il "Tor" in scioltezza, mentre aleggia sui tanti dilettanti volenterosi il rischio di prendersi qualche acciacco serio per la fatica bestiale, anche a seconda della loro preparazione. Ognuno di noi ha una vasta aneddotica di persone che scambiano il giorno per la notte, che si infilano nel bosco al posto del sentiero perché confusi, che hanno le visioni come i Santi, che partono dal rifugio in braghette quando la temperatura è sottozero, che danno via di testa e li portano via... Visto che è una competizione sportiva che si sceglie, a differenza di un soggiorno gratuito degli americani a Guantanamo, consentitemi di scherzarci sopra, parafrasando quanto da tempo gira su Internet: un tempo tutti noi avevamo un amico tossicodipendente, oggi ne abbiamo più facilmente uno che corre il "Tor". Anche io ne conosco e certamente - come per tutti questi cimenti sportivi - finiscono davvero per avere un'attitudine quasi maniacale. La loro vita, per un'evidente e nota forma di dipendenza che deriva dalla disciplina a seguito dalle tabelline di allenamento, finisce in parte più o meno grande per ruotare attorno a questa sfida sportiva, che diventa del tutto assorbente. Ho già scritto che va benissimo, perché ognuno fa quel che vuole della sua vita e spetta a lui regolare scelte e ritmi della propria esistenza e il rapporto con i propri famigliari, ma sia chiaro che l'evidente riferimento alle "Alte vie" porta a ribadire, ma non credo che ce ne fosse bisogno, di come la carica palesemente agonistica del "Tor" ci pone di fronte al problema valido per mille altre attività. La montagna, nell'ordinario, come va affrontata? Per quel che mi riguarda, penso che ci si debba rifare a quell'educazione sentimentale alla montagna, che nel passato faceva parte della formazione di ciascuno di noi. Oggi lo chiamiamo "slow walk" nella logica dell’anglofilia, ma il "camminar lento" ha un suo perché. Non solo perché camminare in montagna ha sempre avuto, che fosse la famiglia o gli amici, una componente sociale forte, ma perché da sempre la montagna è scoprire la bellezza dei luoghi e questo lo si deve fare con il tempo necessario per fruire di questa contemplazione, che è poi il valore aggiunto del territorio che si percorre. Su questo credo che ci debba intendere: non esiste una logica contro chi vuole correre e correre, ma bisogna evitare che possa ingenerarsi qualche equivoco su quale debba essere il "core business" (beccatevi l'anglicismo) del prodotto turistico. Leggo dépliant di località turistiche, che sembrano ormai votate a sport estremi con annessa esaltazione dell'adrenalina e che paiono ormai rivolgersi a dei turisti degni di John Rambo. Per carità, va bene, ma rispetto all'utenza potenziale - la sacrosanta famiglia del turismo trentino e tirolese - restano una minoranza da coccolare, ma da non ritenere il modello unico cui uniformarsi. Ma, si sa, che il marketing turistico ci ricorda che siamo delle scimmie e come tali abituate all'imitazione e alla ripetizione degli stessi modelli, quando ognuno dovrebbe farsi forte di una propria vocazione. Questo vorrebbe dire cercare il proprio spazio, evitando di cedere alle mode, che come tali sono destinate ad arrivare sulla scena e poi a tramontare. Soprattutto perché - è il caso proprio del "trail running" nelle sue diverse declinazioni - esiste un oggettivo rischio di eccessiva moltiplicazione delle competizioni, come si vede nella fioritura di corse di questo genere anche in Valle. Ma intanto, via Web e via "radio Tir", seguirò con curiosità i campionissimi e anche gli amici e conoscenti che arrancheranno lungo il percorso. Che li protegga San Bernardo, Patrono degli alpinisti e degli scalatori, indicato in questo ruolo nel 1923 da Pio XI, il Papa alpinista, che conosceva bene le montagne valdostane.