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11 set 2014

Signore e signori, il Circo!

di Luciano Caveri

La scena - per dire di un Federico Fellini che al Circo dedicò con "I Clown" uno dei suoi capolavori - era davvero felliniana. Nella gigantesca piazza di Bordeaux, l'Esplanade des Quinconces (cosiddetta dalla disposizione geometrica), una coda lunghissima di persone aspettava di entrare allo spettacolo del circo "Pinder". Ciò avveniva, oltretutto, sotto lo sguardo - che a me pareva perplesso - del celebre bordelais, Montesquieu, essendo stata messa lì una sua statua celebrativa, a pochi metri dalla limacciosa Garonne. Naturalmente in attesa c'era la solita clientela: famiglie con bambini, eccitatissimi prima dell'inizio. L'odore acre ben riconoscibile del circo - per via degli animali - entrava nelle narici, dando quel tocco di tradizione, cui faceva da contraltare tecnologico un megaschermo che ripeteva scene delle imminenti esibizioni. Io di spettacoli circensi dal vivo - in televisione ce ne sono uno sproposito e la ritrasmissione in replica è un classico nel periodo estivo - ne avevo un ricordo vaghissimo. Di circhi di grandi dimensioni ne avrò visti due da piccolo, per cui ho una memoria tipo sogno. E poi da grandicello ricordo di quei circhi di serie "zeta" che venivano a Verrès, che erano in realtà famiglie con artisti multiuso e con quattro animali spelacchiati peggio di vecchi peluche. Ma quel che contava era l'aria artistico-libertaria che si respirava in questa specie di apparente zona libera da troppe regole con roulotte per gli artisti, camion con le gabbie per gli animali e ragazze belle con abiti succinti. «Scappare con il circo» è sempre stata un'innocua fantasia dell'infanzia, che faceva da contraltare alle minacce dei genitori «ti portano via quelli dei baracconi». Solo da adulti si scopre che il circo esiste in qualunque professione si scelga e potrei, specie per quel che riguarda politica, proporre opportuni, ma forse irriverenti, spunti di riflessione, pensando non solo ad affinità ma anche alle varie forme di "panem et circenses". Roba antica - come da detto romano - il circo, ma mutevole nel tempo. La definizione viene dal latino "cĭrcus", che arriva a sua volta dal greco "kírkos - anello, cerchio", perché deriva dal luogo delle gare coi carri, cui i romani, in certi periodi, aggiunsero anche i gladiatori in combattimento fra di loro e con bestie feroci (certo questo avveniva anche ad Augusta Prætoria). Mentre nella versione settecentesca, di cui siamo eredi, si mettono assieme cavalli ammaestrati, pagliacci e articoli da fiera medioevale come animali esotici, saltimbanchi e stranezze varie, comprese - scelte per noi impensabili - le persone con malattie e traumi, definiti purtroppo "fenomeni da baraccone". Com'era il circo che ho visto? Un lungo e vario insieme di spettacoli con cimenti da trapezio e ginnasti da brivido, pagliacci simpatici e poi - tema che divide - gli animali. C'erano due elefanti vecchissimi che penso non abbiano alternative in Natura, un certo numero di dromedari in uno spettacolo con lama, asini e cavalli, che già sono tutti animali domestici e poi una dozzina di leoni bianchi - mai visti di questo colore - con un domatore dalle movenze non così virili come ti aspetteresti dal genere macho a tinte forti del dominatore di bestie feroci, visto che la chiave dello spettacolo non è tanto negli esercizi delle fiere, quanto nella possibilità truculenta e emozionante che uno dei felini si ribelli, mangiandosi l'addestratore che fa lo sbruffone. Penso davvero che i leoni starebbero meglio nella savana piuttosto che dietro le sbarre come ergastolani e nel cerchio di segatura di un tendone. Ma il circo, resta comunque il circo.