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25 lug 2014

Che peccato per Niccolò!

di Luciano Caveri

In politica esiste una porta girevole in cui, con una tempistica in realtà ignota, c'è chi entra e chi esce. Non sempre chi entra è meritevole e spesso nel ricordo del lavoro fatto da chi esce resta il rimpianto per la sua assenza. E' il caso di Niccolò Rinaldi, che nella scorsa Legislatura europea, era diventato parlamentare a Strasburgo (che poi, a parte la plenaria, va detto che il grande del lavoro si fa a Bruxelles). In realtà, avendo fatto il segretario generale del gruppo dei Democratici e Liberali, Niccolò - fiorentino "doc" - conosceva i meandri delle Istituzioni comunitarie meglio di molti altri. Lo certifica la sua azione parlamentare, per altro intelligentemente amplificata da un uso sapiente di tutti "social media" oggi a disposizione di chi faccia politica per dar conto del lavoro svolto. La crisi del partito di Antonio Di Pietro, cui aveva aderito con spirito sempre vigile, ha portato Rinaldi, in occasione delle elezioni appena tenute, nella lista "Scelta Democratica", con il simbolo in cui campeggiava il nome del candidato liberale alla Presidenza della Commissione europea, Guy Verhostadt, il politico belga che aveva dimostrato di essere il più preparato e colto fra i candidati in lizza. Ma i partiti che lo appoggiavano nell'Unione europea sono andati male alle elezioni, compresa la lista italiana, che non ha ottenuto il quorum. Mi spiace sinceramente per Niccolò, anche per il suo impegno - raro nelle Istituzioni comunitarie - in favore della montagna. Non solo perché è un buon alpinista (lo dimostra il curriculum di tutto rispetto che si trova nel libro), ma perché - come dimostra la pubblicazione "L'Alternativa Montagna" - il suo, verso la montagna e i suoi problemi, è un approccio colto e consapevole. Lo dimostrano, nel libro, l'avvicinamento ai problemi europei della montagna, su cui figura anche un mia breve riflessione, le tappe di avvicinamento alle questioni montane - e in primis delle Alpi - attraverso le tappe della Storia, da Filippo di Macedonia che scala nel Rodope il Rilo Dagh (2.800 metri) nel 181 a.C., attraverso personaggi ben noti come Francesco Petrarca e Leonardo da Vinci, giungendo a scrittori fondamentali per la rappresentazione della montagna, come Dino Buzzati. Le pagine scritte sono intervallate da una ricchissima proposta iconografica e fotografica delle immagini della montagna, cui si aggiungono citazioni su cui riflettere e pure una parte che dimostra una biodiversità linguistica della montagna e delle parole che la rappresentano. Accanto a queste pagine, dove la prosa si mischia alla poesia, dimostrando quella delicatezza di stato d'animo che il ruvido Rinaldi aveva già dimostrato in altri libri, vi è un disegno lucido sulle opportunità, assai concrete, del periodo di programmazione ormai in atto, che ci porterà dal 2014 sino al 2020. Soldi preziosi anche per la piccola Valle d'Aosta, anche se il recente passaggio di tutti i documenti sui diversi Programmi, a poche ore dalla presentazione a Bruxelles, è parso per il Consiglio Valle un umiliante "prendere o lasciare" in una materia programmatoria che dovrebbe essere saldamente nei ruoli dell'Assemblea. Ma, rebus sic stantibus, l'impegno che bisogna mantenere - e il libro offre alcune piste - è quello di spendere i soldi davvero a favore della montagna, evitando di disperde risorse a pioggia senza ricadute reali. Purtroppo ci sono stati molti casi in cui i brasseurs d'affaires dei fondi hanno lavorato solo per il bene del proprio portafoglio, spesso con scandalosi "copia e incolla" per committenti ingenui o complici. Non so in futuro - pensando che ora è in un legittimo periodo sabbatico - quale ruolo occuperà Niccolò, ma sono certo che il suo ragionare fino e la franchezza che non perdona potranno tornare utili a una mondo della montagna che troppo spesso è una combriccola dei "soliti noti", affetti da una "convegnite" acuta ed emorragica, in cui si rischiano di distillare all'infinito sempre le stesse idee. Mentre la visuale di Niccolò, apre nuovi orizzonti, come avviene appunto guardando dalla cima di una montagna.