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10 lug 2014

L'estate dopo la Maturità

di Luciano Caveri

So che non mi crede, perché è giusto che sia così. Quando, dopo la sua promozione alla Maturità Classica, ho detto a mio figlio Laurent - di cui sono fiero e pieno di tenerezza da buon papà - quella frasetta che tutti si saranno sentiti dire, in una logica da "Notte prima degli esami": «Goditi questa lunga estate, perché di altre così non ce ne saranno», ho visto uno sguardo scettico. Capisco che dirlo è da "vecchio bacucco", ma penso sia vero e lo era ancor di più una volta quando - se ci si iscriveva all'Università - gli appelli erano solo nel maggio, giugno dell'anno successivo. Dunque, fra la fine delle Superiori e il primo esame universitario, c'era potenzialmente una sconfinata prateria. Mi viene in mente, anche se si riferisce ad una storia d'amore, quella strofa di una vecchia canzone di Sergio Endrigo: "Era d’estate poco tempo fa Ora per ora noi vivevamo Giorni e notti felici senza domani». Bella questa atemporalità di un momento della propria vita, che è come una rampa di lancio. So bene quanto sia illusorio e conformista dare troppi significati alla Maturità, ma in fondo resta uno di quei cimenti - chiamatela prova di coraggio o di iniziazione - che è come una pietra miliare nella strada della nostra vita. Chiunque l'abbia vissuta ne ha ricordo. Mi viene in mente un'altra canzone d'amore di Gilbert Becaud: «Et maintenant que vais-je faire De tout ce temps que sera ma vie». Io quando uscii dal Liceo ad Ivrea, fatto l'orale, andai a buttarmi per una nuotata nel Lago Sirio, come tuffo liberatorio. Lì iniziò la mia lunga estate, che finì, direi tre mesi dopo, quando a Torino iniziai a lavorare, grazie ad un provino organizzato da mio fratello Alberto, a "Radio Reporter 93". Nostro dovere di genitori è pensare certo al benessere ma, se ci dovessimo riuscire, anche alla loro capacità di essere autonomi e poi, quando verrà e nel quadro della solidarietà familiare, indipendenti. Sapendo appunto che siamo con loro, se necessario, ma sapendo anche che - specie questa generazione assorbita dai "social", di cui sono state cavie inconsapevoli - hanno problemi di socialità da tenere presenti. Sono imbattibili sul Web, meno nei rapporti interpersonali vis à vis. Spesso ho pensato, rileggendo la mia giovinezza, che mio papà in fondo si interessasse poco a me, per quel distacco che quella generazione, specie se cresciuti in famiglie molto numerose e con padri molto anziani, sembrava avere come tratto distintivo. Oggi, ripensandoci, annoto come la fiducia che aveva in me, sin da ragazzino, era anche una scelta per darmi respiro. Ma, quando era necessario, c'era e sapeva darmi consigli e dritte. Essere troppo apprensivi finisce per renderli insicuri e, in fondo, meno liberi.