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01 lug 2014

Telecamere e politica

di Luciano Caveri

Dovessi mettere una frase in premessa appunterei una parte del celebre monologo del film di Sidney Lumet, "Quinto potere" del 1976, feroce racconto sul mondo della televisione: «Ascoltatemi! La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni, giocatori di calcio! Ammazzare la noia è il nostro solo mestiere». Il tema è serio, come si legge in queste righe, ma si può partire lo stesso scherzando. Esiste l'espressione "in favore di telecamera", che ben conosce chi la televisione l'abbia fatta dal di dentro. Ricordo i telegiornali letti, come conduttore, nella mia giovinezza. Quel che contava era il "mezzobusto", per cui sopra ero in inappuntabile giacca e cravatta, ma - se era estate - sotto portavo un'improbabile, ma non visibile in video, paio di bermuda. Oppure, nelle pause durante i servizi filmati, si smetteva la maschera ufficiale a vantaggio del cazzeggio con il personale di studio. Questo per dire come realtà e finzione convivano. Entrate con una telecamera in una sala congressuale: le persone si mettono composte, assumono un'aria impostata, quando vengono ripresi e fingono qualche tipo di attività. Idem in un campo sportivo, in una festa campestre, in un corteo studentesco. La telecamera muta, con la sua presenza, il contesto e i comportamenti. Questo in politica è evidente, specie se nasce l'assioma che una riunione è "democratica" solo se di essa esiste lo streaming, cioè la trasmissione in diretta su Internet dell'evento. Una tecnica già esistente, fatta propria da Beppe Grillo e dal suo "movimento" per evitare manipolazioni degli avvenimenti. Per carità, va benissimo che questo avvenga, ma non si faccia credere che questo comporti una neutralità sullo svolgersi dei fatti. Basta vedere il Consiglio Valle: la ripresa in diretta fa sì che non ci sia solo l'interazione fra membri dell'Assemblea ed a beneficio dei giornalisti presenti per raccogliere le notizie e dei pochi spettatori sugli spalti, ma chi parla lo fa ormai "in favore di telecamera" per il pubblico televisivo o per chi segua le seduta davanti ad un computer o un tablet. Questo modifica toni e contenuto e ciò vale, come già detto, per qualunque assise o incontro. Tra l'altro - e questo è un bene - la ripresa in diretta evidenzia i "parlanti" ed i "silenti" e per questi ultimi - gli eletti che sono solo belle statuine - sono guai nel rapporto con gli spettatori, che ne scoprono la vuota inutilità. Per cui risulta chiaro come questa regola dello streaming, abbia i suoi pro e i suoi contro. Ma su un punto mi sento di insistere: resta la necessità di mantenere in politica dei momenti di discussione riservata. Questo è sempre bene che ci sia, ad esempio alla ricerca di momenti di approfondimento, mediazione o di dialogo, e non è antidemocratico o negativo che ciò avvenga con intelligenza, come posso testimoniare per il lavoro parlamentare. Anzi, un giorno si scoprirà che in momenti topici ci vuole una pausa salutare e lo streaming va spento per evitare che ci sia chi reciti come in una fiction. Altrimenti nasceranno degli stanzini appositi, come quelli per i fumatori negli aeroporti, liberi da telecamere e connessioni!