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31 mag 2014

Per un pugno di dollari

di Luciano Caveri

Il problema di vedere il cinema ormai prevalentemente in televisione è la necessità - nella determinazione di che cosa guardare - del compromesso, senza troppe discussioni precedenti. A meno che, beninteso, uno non si guardi la televisione da solo. Ma trovo che un eccesso di televisori in casa, per chi la pratichi, sia una scelta che può essere d'isolamento, in un mondo in cui già troppe volte siamo soli in mezzo agli altri, specie con i palmari. Altrimenti, se si crede alla componente di socialità dell'elettrodomestico con lo schermo, tocca giocoforza e con processi per direttissima - grazie ai canali specializzati in film, per non dire della "pay per view" - ricercare un improbo compromesso familiare. Per cui - confesso le mie frustrazioni - non riesco ad imporre gli horror e le pellicole di fantascienza, generi che guarderei sempre volentieri, ma soprattutto sono bocciato sulla scelta di pellicole western. Filone, in verità, ormai facente parte dei "classici", per cui - tranne quel matto di Quentin Tarantino con "Django unchained", che fa il verso al passato - bisogna abbeverarsi alla fonte dei grandi maestri. A me commuove che un film della mia infanzia, "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone (cui si aggiungono, nella trilogia, "Per qualche dollaro in più" e "Il buono, il brutto, il cattivo"), sia stato presentato, opportunamente restaurato con il contributo proprio di Tarantino, al "Festival del Cinema di Cannes", nelle scorse ore. Da notare che non solo il film è stato digitalizzato e "ricolorato", ma è stato lo stesso Maestro Ennio Morricone a rimasterizzare la straordinaria musica del film, che figura ancora nel mio vissuto. Mi vengono in mente, pensando anche a quella colonna sonora, quegli anni Sessanta e che cosa significasse per un bambino seguire queste storie avvincenti sul grande schermo, quando neppure sapevi - perché quella è quasi sociologia - che cosa fosse questo genere degli "spaghetti western". Un filone filmico che, all'epoca, alimentava il mito di un Far West fantasioso e inesistente nei termini proposti, come avvenne in parallelo con il fumetto cartaceo di Tex Willer del grande Sergio Bonelli. Anche lui uno dei forgiatori del pensiero - che è stato così inculcato alla mia generazione - che i cattivi, infine, vengono sconfitti. Attendo, con speranza, una verifica di questo nella vita vissuta per poter dire che esiste una corrispondenza della realtà con quel pensiero buonista e speranzoso. Altrimenti, voglio indietro i soldi spesi al botteghino e in edicola! Ma torno al tema. Quando uno pensa alla carriera di attore e regista di Clint Eastwood, quasi non ricorda che fu lui il protagonista di quel primo film. Ho letto che a Leone questa scelta non piaceva e decise, come escamotage, di mettere a Joe - così si chiamava il pistolero - quel sigaro in bocca, che poi contribuì alla nascita e al successo del silente personaggio dagli occhi di ghiaccio. Ripenso con nostalgia a quei pomeriggi al cinema, con amici della "compagnia", a tifare per quel nostro eroe con pistola. «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto!». Così il cattivo Ramón Rojo, impersonato dal grande Gian Maria Volontè, si era rivolto a Joe, che gli ripeterà beffardamente la frase prima di farlo secco, dopo essersi riparato dai colpi del "Winchester" del suo avversario con una lastra di ferro. Una sola pallottola - naturalmente sparata con la sua "Colt" - consentirà, con la morte del malvagio, il lieto fine. Uscivo così dalla sala sul "the end" con il passo leggero...