Il dibattito sulla Montagna

Il 'logo' della 'Università della Montagna'Capita, per seguire la situazione del dibattito sulla montagna, di risalire la Valle Camonica nel bresciano, sino ad Edolo, nella sede del Corso di Laurea triennale (laurea breve) in "valorizzazione e tutela dell'ambiente e del territorio montano" nell'ambito del Dipartimento di scienze agrarie dell'Università di Milano. Un po' enfaticamente definita "Università della Montagna", ma giustamente ognuno occupa spazi non occupati altrimenti (il prossimo anno si iscriveranno cinque valdostani...) e la primogenitura conta, così come la scelta per nulla banale di aprire un centro universitaria davvero nel cuore delle Alpi in un Comune di quattromila abitanti dalle antiche radici camune.
Personalità le più varie si sono trovate per riflettere su questo famoso territorio alpino che, nel versante sud sul territorio italiano, ha una situazione politico-amministrativa molto differenziata e anche consapevolezza sull'identità montanara molto diverse. Lo scrivo come valdostano e lo faccio con fierezza perché se c'è un terreno su cui nessuno può darci il solito «ricchi e privilegiati» è proprio una riflessione sulla montagna, la sua storia e i suoi diritti, legandola al pensiero autonomista, perché senza autonomia la montagna muore.
Il «che facciamo?» è un tormentone che conosco da un trentennio e ogni stagione ha i suoi problemi. Oggi, ma è la mia chiave di lettura, esistono due dimensioni, apparentemente distanti fra di loro, ma in realtà legate da un destino comune e chi conosce la sussidiarietà.
Prima di arrivarci, diciamo che sulla montagna possono agire due movimenti in contemporanea. Il primo è la sussidiarietà verticale, che dà la preferenza all'istanza istituzionale più vicina ai cittadini (e di conseguenza territorialmente meno estesa) nell'attribuzione delle funzioni pubbliche. Tale preferenza vale solo per le funzioni esercitabili da ciascun livello, nel senso che essa recede davanti all'inadeguatezza dovuta ad una dimensione troppo limitata a vantaggio, in una logica di desistenza, del livello immediatamente superiore. Una scala che si deve risalire, ma anche scendere, secondo i casi.
A livello istituzionale questo vuole dire - e lo segnalavo poco sopra - due aspetti, uno in alto e uno in basso. I problemi montani e le politiche conseguenti vedono un ruolo dell'Unione europea in cima, per così dire, alla piramide, mentre la piramide poggia su un sistema di autonomie locali del tutto in fibrillazione per l'impatto sui territori montani delle riforme in atto sugli enti locali con la fine delle Comunità montane e la messa in discussione della vita stessa dei Comuni piccoli e medi anche attraverso la formula delle "unioni". Cosa ci sia alla fine bisognerà capirlo prima - penso anche a quel che capiterà in Valle - per evitare un "tritacarne".
Vi è poi una seconda sussidiarietà, anch'essa da applicare in zona montana, quella orizzontale, che riguarda il rapporto tra Stato e società, fra pubblico e privato. Per capirci: non solo istituzioni, ma tutto quello che fonda, anzitutto con i montanari protagonisti, una rete coerente fra le diverse zone alpine e un'identità aggregante, pur a fronte di sfumature diverse di ogni diversa identità.
Si vola alto? Può darsi, però - in epoca di banalizzazione di troppo cose - bisogna evitare la routine.
Ci penso anche rispetto all'autonomia speciale della Valle d'Aosta, con la frase dello scrittore québécois, Yves Thériault: «C'est terrible de se laisser prendre dans sa routine, on s'enlise, on se sent en sécurité. Et puis, tout à coup, on s'éveille, et il n'y a plus rien...».

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