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31 mar 2014

L'Euro brutto e cattivo

di Luciano Caveri

Il "capro espiatorio", che risale ad un antico rito ebraico in cui davvero si faceva secco un animale abbandonandolo nel deserto, è diventato un'immagine applicata a qualcosa o a qualcuno che finisce per diventare simbolo di tutti i peccati. Così l'Euro, che di questi tempi, specie nella particolare situazione preelettorale in vista delle europee, diventa oggetto di reprimende di tutti gli schieramenti politici "antieuropei" e si tratta di una compagnia di giro "tous azimut". Il colpevole, nei diversi libri gialli degli uni e degli altri, pur uniti in molti casi da un insolito destino, è proprio l'Euro, che è in circolazione, sostituendo una buona parte delle vecchie monete nazionali, dal 1° gennaio del 2002. Comunque la si pensi, una delle tappe significative dell’integrazione europea.
L'EUR o "€" è oggi la valuta ufficiale dell'intera Unione europea, anche se poi ad adottarla ufficialmente sono al momento diciotto dei ventotto Stati membri. In ordine alfabetico: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Ci sono poi Andorra, la Città del Vaticano, il Principato di Monaco e San Marino, oltreché - unilateralmente - il Montenegro e il Kosovo. La tesi più forte di chi è contro l'Euro è così riassumibile: l'uscita dell'Italia dalla moneta unica garantirebbe all'Italia la possibilità di effettuare misure quali le svalutazioni, permettendoci di riacquistare competitività sui mercati internazionali. L'altra tesi forte è che, tornati alla Lira, saremmo liberi dai vincoli sulla spesa, legati ai meccanismi, come il "Patto di stabilità" e il "fiscal compact", concepiti per una vigilanza ferrea sul debito pubblico a detrimento anche di una "spesa buona" come gli investimenti in infrastrutture e di certi capisaldi del welfare. E' facile, rispetto al primo punto, dire che per avere più competitività sui mercati che non c'è bisogno di abbandonare la moneta unica. Sarebbe, oltretutto, un bene riflettere non solo sull'export, ma sul rilancio della domanda del mercato interno, che sembra una strada intrapresa da Matteo Renzi. Sul secondo punto: la battaglia è avere misure ragionevoli di "governance" dell'economia europea, moneta o non moneta, specie se si crede nella logica keynesiana della spesa pubblica in epoca di crisi economica anche per creare occupazione. I "contro" di un'uscita dall'Euro sono scenari tipo le fughe di capitali, la svalutazione della nuova Lira con un aumento dei prezzi dei beni importati, un aumento dell'inflazione ed una diminuzione del potere d'acquisto. Mi fermo qui, perché so bene che a ogni tesi si può proporre un'antitesi e viceversa sino all'infinito ed il terreno dell'economia è sdrucciolevole. Per cui, almeno per me, la revisione dell'integrazione europea è la vera priorità e l'attacco all'Euro, pur con motivazioni economiche assai complesse, serve solo per parlare alla pancia della gente in un periodo di crisi e difficoltà. L'Euro brutto e cattivo, quindi, diventa una semplificazione. E un federalista, anche per il valore simbolico proprio al contrario delle tesi "anti", non può che credere nella moneta unica. Che poi l'Europa degli Stati vada rivista è ovvio, ma è altra storia.