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15 mar 2014

Roma in epoca di Controriforma

di Luciano Caveri

Torno a Roma per parlare ad una conferenza e confesso che mi fa sempre piacere, considerando l'esprimermi in pubblico - attività che mi piace - sempre un privilegio. E' qualche mese che non vado a Roma, ma non posso certo negare di avere avuto con la città un rapporto professionale, che è diventato anche affettivo. Di certo ci ho passato molto tempo e credo di averla vissuta con una certa intensità. A parte una quindicina d'anni di nomadismo, durante la settimana, quando ero deputato solerte nelle presenze ai lavori, ho poi continuato a frequentarla con una qual certa regolarità nei successivi incarichi.

Per lavoro non è una città facile. Ne ho scherzato, quando è stato il caso, con colleghi che ne sono stati sindaci, come Walter Veltroni, Francesco Rutelli o Gianni Alemanno. La mia tesi era sempre stata, ma con tono ironico, che Roma è una città "non governabile" e forse oggi mi darebbero ragione, essendone tutti usciti abbastanza bastonati. Naturalmente un federalista ha una visione policentrica, che invece in uno Stato centralista come l'Italia - dal flebile regionalismo e dal municipalismo spezzettato - finisce per caricare come un somaro la Capitale sino a farla scoppiare, rendendola ingiustamente invivibile. Questo centralismo politico e amministrativo ha nuociuto gravemente a Roma. Ma veniamo all'affetto per questa città davvero unica e irripetibile. Ci sono angoli, scorci, panorami che, anche se ci sei stato mille volte, non finiscono mai di stupirti. Ho nella memoria delle passeggiate memorabili la notte con una movida allegra e caciarona o al mattino presto con i colori e gli odori che non hanno eguali. Così come il carattere dei romani, per quanto ormai mischiato a tante e successive immigrazioni, continua ad avere quel tratto giocoso e scherzoso che ti mette di buonumore, consumandolo nelle giuste dosi. Le osterie sono la quintessenza di una certa filosofia di vita con camerieri che diventano tuoi amiconi alla seconda cena nello stesso locale. Roma è una città d'arte, cui si aggiungono i tesori del Vaticano, che potrebbe rappresentare davvero un gioiello, un patrimonio dell'umanità senza l'ormai ridicolo label di quel costoso ente inutile che è l'Unesco. E, invece, la città è infettata da uffici e palazzi, da segreterie ed associazioni, da sindacati e consorterie, che - sommati ai milioni di turisti - la rendono sempre più brutta e triste. E le periferie fanno il resto, come in una megalopoli da Terzo mondo. A ribellarsi dovrebbero essere i romani, non fosse che ormai dopo 143 anni dal titolo di "Capitale d'Italia" sono ormai tanti compresi nella parte e paiono felicemente rassegnati ad una città che va a picco, oltreché - tema di questo giorni - in bancarotta. Solo il federalismo, ormai uscito dal lessico politico italiano, avrebbe loro restituito Roma. Ma non solo la riforma federalista non è arrivata ma temo si entri, con una giravolta, nella controriforma regionalista.