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14 feb 2014

La Svizzera e l'immigrazione

di Luciano Caveri

Il problema dei referendum "alla svizzera", forma di antica democrazia diretta senza quorum da raggiungere e abbastanza facili da indire, sta nel fatto che non è così semplice - a risultati acquisiti - passare "dal dire al fare". E non sfugge come i temi parlino molto alla pancia dei votanti, che non si preoccupano di una coerenza di ragionamento nell'incatenamento delle decisioni. Prendete il treno: il no all'aumento della "vignette" con cui si transita sulle autostrade elvetiche sembrava anche segno di un certo disagio nell'usare i soldi degli automobilisti per i treni. Ma poi, domenica scorsa, contrordine degli elettori che votano alla grande il cospicuo piano di finanziamento delle Ferrovie. Esiste nei referendum una dose notevole di umoralità, come quella di cui tanto si discute in queste ore sull'immigrazione nella Confederazione.

Traggo una sintesi da "Le Matin" per chi non avesse seguito la questione: "Les Suisses ne veulent plus de la libre circulation des personnes avec l'Union européenne (UE). Par 50,3 pour cent des voix, ils ont accepté dimanche l'initiative de l'UDC «contre l'immigration de masse», désavouant les milieux économiques et les autorités. L'opposition unanime de la Suisse romande, de Bâle-Ville, de Zurich et de Zoug a été vaine. L'initiative réclamant la réintroduction de contingents d'étrangers, demandeurs d'asile y compris, a été soutenue par 1,46 million de personnes. Plus de 1,44 millions d'autres ont dit «non». Le camp du «oui» a réuni 19'516 voix de plus que celui des opposants. Quasiment identique au vote sur l'Espace économique européen en 1992 (50,3 pour cent de refus), ce score constitue une gifle pour le Conseil fédéral, les autres partis et les grandes fédérations économiques qui s'étaient mobilisés en force contre le texte. Face aux effets négatifs de la pression migratoire, le corps électoral a voulu donner un signal fort. Le risque d'une résiliation des accords bilatéraux, brandi par les autorités, n'a pas ébranlé la majorité". La più alta percentuale dei voti favorevoli - pensa al paradosso - viene dal Canton Ticino e non a caso il quotidiano "Corriere del Ticino" pubblica questo editoriale di Marcello Foa: "E ora, per cortesia, non dite che gli svizzeri sono egoisti, xenofobi o addirittura razzisti. Non lo sono affatto. La Svizzera è e resta uno dei Paesi più democratici, tolleranti, altruisti al mondo. Solo che, in tempi di continua sottrazione di sovranità nazionale, continua a credere nelle virtù della democrazia e soprattutto della democrazia diretta, che permettere al popolo di esprimersi su qualunque argomento, anche quelli meno graditi al governo e all’istituzioni. Così questo fine settimana i cittadini svizzeri - anzi, il popolo elvetico - è andato alle urne e contro ogni previsione e, soprattutto, contro il volere dei principali partiti, del governo, delle associazioni economiche, dei sindacati, ha deciso di approvare l’iniziativa lanciata dell’Udc contro "l'immigrazione di massa" ovvero contro gli accordi con l'Unione Europea che hanno di fatto liberalizzato il mercato del lavoro svizzero, aprendolo ai cittadini dell'UE. Questo significa che da domani la Svizzera chiuderà le frontiere e che gli oltre 60mila frontalieri italiani che lavorano nel Canton Ticino perderanno il posto di lavoro? Ovvio che no. Il popolo svizzero ha dato mandato al Consiglio federale di rinegoziare i trattati esistenti e di introdurre leggi che fissino dei contingenti di manodopera in funzione "agli interessi globali dell’economia elvetica". Tempo: tre anni. Poi si vedrà. Anzi, prima si vedrà. Non sarà necessario aspettare tre anni per capire la portata di questo voto e l'esito che verosimilmente non sarà in sintonia con il volere del popolo elvetico. Mi spiego: questo voto è storico perché anticipa il sentimento che un numero crescente di popoli europei provano nei confronti dell’Unione europea e delle organizzazioni sovranazionali. Un sentimento che troverà piena espressione alle prossime elezioni europee. Gli svizzeri pur vivendo nel benessere, sentono di non essere più pienamente sovrani, di non controllare più il proprio destino. Vedono consuetudini e contratti sociali che sembravano incrollabili, erodersi continuamente, secondo modalità opache, anzi impalpabili. Una sensazione che è particolarmente evidente sul mercato del lavoro, soprattutto nelle zone di frontiera e alla guida di grandi società, che sono ancora nominalmente svizzere ma che in realtà sono condotte e controllate da stranieri. In Svizzera non c'è crisi, ma c’è, da tempo, un disagio fortissimo, un senso di smarrimento, un bisogno di affermazione di identità che oggi è emerso prepotentemente. Non è stato un voto razionale, ma emotivo. Non è stato un voto "contro" ma un voto "per"; sì difendere se stessi e la propria identità. Verosimilmente, però, sarà un voto inutile; anzi, forse addirittura controproducente. Già, perché non è difficile immaginarsi il seguito. Poche settimane fa il Commissario al mercato interno UE, Vivane Reding, aveva avvertito il popolo elvetico che «la Svizzera non può scegliere ciò che le piace» con dichiarazioni di rara arroganza. E ora l'Unione Europea non potrà certo permettere che la strategia di imbrigliamento della Confederazione elvetica (considerata dal tedesco Martin Schulz ormai «un membro passivo della UE») possa venir compromessa. Già da domani inizierà il fuoco di fila dell'Unione Europea a furia di pressioni, minacce, ricatti. Anche il mondo economico elvetico è contrario alla revisione degli accordi. Ecco perché alla fine verosimilmente tutto resterà come prima. E l'oligarchia europea si prodigherà per trasformare, ancora una volta, una sconfitta, in una vittoria. Ovvero per dimostrare di essere più forte della democrazia, di poter piegare alla propria volontà anche popoli - come quello francese, olandese e, in passato, quello svizzero - che si illudono di essere liberi e sovrani". Ovvio che l'editorialista si rivolge al popolo del "sì" e va detto, per correttezza, che lo stesso quotidiano racconta dei rischi del voto, specie verso il resto d'Europa, e delle previsioni negative per l'economia svizzera in difficoltà per la mancanza di manodopera, oltreché per l'isolamento politico. Sarà complesso trovare compromessi con l'Unione Europea, perché di fatto gli svizzeri si sono rimangiati accordi già stipulati e in vigore da tempo. Ma, ciò detto, non si può non riflettere sul messaggio emotivo e la logica di isolamento che emerge dal voto. Sottostimare paure e egoismi sarebbe fare il gioco di chi vuole chiudersi in confini per nulla rassicuranti.