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18 gen 2014

Una volta c'era la SIP

di Luciano Caveri

Emerge, dal lontano passato, il ricordo di qualcuno che, a fronte di un guasto telefonico, diceva: «Bisogna avvertire la Stipel!». Per i giovani ricordo che era la "Società telefonica" di epoca fascista, rimasta poi nel linguaggio dei nonni. La mia vita è andata di pari passo con il boom e le trasformazioni della telefonia del dopoguerra. Protagonista assoluta è stata la "Sip - Società Italiana per l'esercizio telefonico per azioni", che fu - essendo defunta - la principale azienda di telecomunicazioni italiana (appartenente al gruppo "Iri"), attiva dal 1964 al 1994, nata a Torino e poi trasferita a Roma, come si conviene in uno Stato centralista. "Sip" fu una specie di Ministero, che presidiava il territorio con caparbietà, ma poi venne trasformata in "Telecom Italia SpA", in vista solo della privatizzazione, avvenuta tre anni dopo con una logica di svuotamento che fa impressione ancora oggi a pensarci. Operazione, infatti, assai dubbia, come dimostrato da libri sul tema, su cui ancora aleggiano mille sospetti: per la Valle d'Aosta ha significato l'abbandono di ogni presidio sul territorio, come se fossimo la più sfigata Provincia dell'Impero. In più, a titolo generale, è stato un esempio tangibile di come le privatizzazioni all'italiana - e lo stesso avvenne anche con le autostrade, come ben visibile coi pedaggi alle stelle - sono sempre state a vantaggio dello scalcinato capitalismo italico e a svantaggio del povero cittadino italiano, il cui simbolo araldico dovrebbe essere "cornuto e mazziato". Per cui va bene l'antipolitica, ma sarebbe opportuno fare l'elenco di industriali e manager che non hanno saputo fare il loro lavoro, alcuni dei quali ancora rampanti e glamour. Il settore della telefonia, dagli anni Ottanta in poi, si apre timidamente al mercato e oggi quel che conta è più la telefonia "mobile" di quella "fissa", anche se strategiche sono le infrastrutture che permettono i collegamenti. Oggi le compagnie telefoniche nel settore mobile, che hanno come core business sempre più la fornitura di Internet, sono in Italia una trentina, ma a giocarsi il grosso del mercato sono "Tim", "Vodafone", "Wind" e la "3". Incrociando le tariffe, non si trovano differenze enormi e immagino che l'Autorità sulle Telecomunicazioni e quella sulla Concorrenza vigilino per evitare logico "di cartello" con accordi occulti. Nessuno, invece, vigila davvero sulla qualità e la diffusione dei segnali: basta fare un giretto in tutta Italia per accorgersi che siamo mal messi. Il caso valdostano - con la Regione che, grazie ad una piccola norma, che misi anni fa in una legge, potrebbe vigilare sui piani d'investimento - è evidente. La copertura della Valle - e sarebbe bene che le autorità regionali "mappassero" il territorio - è piuttosto scadente e ci sono zone importanti servite malissimo. Questa situazione non è tollerabile e in parte si collega anche con problemi di modernità e di manutenzione delle infrastrutture, in barba agli obblighi dei gestori. Eppure tutti in Valle - anche chi non distingue un byte da una vite - parlano della "società dell'informazione", delle meraviglie che verranno da fibre ottiche capillari e diffuse e abbiamo una società pubblica "In.Va." che dovrebbe fare scintille, mentre la quotidianità - sul nostro telefonino, come esempio di applicativi "valdostani" - è piuttosto deprimente. C'è un fosso profondo fra il dire e il fare.