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09 gen 2014

Un articolo di Scalfari sul federalismo "regionalista"

di Luciano Caveri

Capita ormai raramente che in Italia si parli di federalismo, se non per parlarne male. Non mi stupisco affatto: in tempi non sospetti avevo previsto che, con la caduta a picco della Lega, ci sarebbe poi stata un'involuzione sul tema. Per cui, oggi si dicono federalisti o ne parlano quelli che hanno nel loro background il tema e di certo nella storia personale e politica di Eugenio Scalfari, giornalista e scrittore ben noto, il virus federalista c'è.

Nell'ultimo numero del settimanale "L'Espresso", nella sua rubrica che chiude il giornale, ha scritto: «La Catalogna farà un referendum sponsorizzato dal governo di quella regione, il cui esito è praticamente già scontato: sarà una Regione-Nazione che riconosce alla Spagna di rappresentarla nella politica estera e nella difesa nel solo caso di un’aggressione. Ma anche le altre Regioni-Nazioni preparano referendum analoghi: l'Andalusia, la Mancia, i Paesi Baschi. Poi voterà la Spagna in quanto tale e probabilmente anche l’esito di questo atto conclusivo sarà la struttura federale dello Stato spagnolo. Un federalismo che va ben oltre l'autonomia amministrativa poiché contiene elementi di forte politicità». Aggiunge Scalfari, padroneggiando una materia che non è banale: «E' inutile sottolineare che il linguaggio delle varie Regioni-Nazioni non ha struttura dialettale; il catalano, il basco, l’andaluso, non sono dialetti ma vere e proprie lingue e hanno alle spalle una vera e propria storia politica che per lunghi secoli ebbe un suo autonomo sviluppo, a cominciare dagli Emirati Arabi di Cordoba e Granada che sopravvissero fino a quando la Castiglia di Isabella e la Catalogna di Alfonso d'Aragona non si unirono e cominciarono la "reconquista"». Poi il discorso si allarga: «Del resto non è soltanto la Spagna a orientarsi verso il separatismo. Il fenomeno della Scozia è ancor più antico e ha fatto già molti passi avanti. Anche lì un referendum è imminente e non è il primo. Dovrebbe sancire nuove e ancor più politiche forme di indipendenza. La realtà è che la Scozia ha da sempre avuto una storia propria, una religione propria e una propria dinastia regnante con un esercito combattente. Perfino quando l'impero di Roma sbarcò, prima con Cesare e poi, più stabilmente, con gli imperatori Antonini, il Vallo di Adriano lasciò fuori dal perimetro di conquista il Galles e la Scozia. La Scozia fu da sempre cattolica e impose la sua religione a tutta la Gran Bretagna quando il figlio di Maria Stuart divenne re di tutto il paese. Ora la Scozia torna all'indipendenza e l’Inghilterra è d'accordo ma il separatismo si estenderà anche al Galles e alle provincie settentrionali. L'Irlanda è da tempo sulla stessa via. Il medesimo fenomeno si sta manifestando in Francia, il Paese dove da almeno mezzo millennio l’unità ha marciato di pari passo con la "grandeur"». Il caso tedesco è altrettanto interessante e Scalfari così lo tratteggia, accennando al processo di destrutturazione del Belgio: «In Germania la tradizione dei principati elettori è invece antica e mai spenta e sta ora manifestando la sua spinta in Baviera, nel Palatinato, in Renania, in Brandeburgo. Le Fiandre riscoprono anch'esse la loro lingua e la loro disposizione indipendentista. Insomma l'Europa intera torna all'ideale federalista, ma con una particolarità un tempo ignota: il federalismo delle Regioni-Nazioni non solo non è contrario, ma ha come caratteristica essenziale l'esistenza di uno Stato europeo; uno Stato vero, non una confederazione di Paesi nazionali guidati da governi nazionali. L'Europa unita e le Regioni-Nazioni che in essa si riconoscono e in essa trovano quella dimensione continentale, quella moneta unica, quella politica estera che parli con una sola voce e si confronti pacificamente ma affermando i propri valori e interessi rispetto al resto del mondo e alla sua convivenza globale». Poi affonda il coltello, facendo un approfondimento su chi fa del giacobinismo la sua bandiera o con un federalismo di apparenza o con un nazionalismo di estrema destra: «Questo è il quadro, questo le forze che lo compongono e in esso si riconoscono e si articolano, con alcune vistose eccezioni: il Fronte nazionale lepenista e la Lega padana. Queste forze non vogliono affatto uno Stato europeo e tanto meno una moneta comune. Sono forze nazionaliste o favorevoli a confederazioni regionali dove l'accento si ponga contro la globalizzazione mondiale. Quale possa essere il loro futuro è ancora incognito a loro stesse, ma nella situazione attuale è un futuro ignoto che tende soltanto alla totale rottura del presente, nel bene e nel male che in esso convivono». Ecco perché spiace che la Lega ringiovanita di Matteo Salvini abbia incontrato - in chiave antieuropea - l'astuta Marine Lepen, che affonda le sue radici nel neofascismo paterno, pur avendo indosso il tailleur e mostrando una femminilità dal piglio moderno. La strada giusta è quella delle "Nazioni senza Stato", come Catalogna e Scozia, che capiscono come le loro rivendicazioni prendono peso nel contesto dell'integrazione europea.