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26 dic 2013

Quando i politici diventanto telepredicatori

di Luciano Caveri

I messaggi di fine anno, che siano stati in passato le cartoline augurali o siano oggi e-mail ed sms inviati agli amici, sono sempre stati all'insegna della speranza, se non dell'ottimismo, con le formule più o meno di rito. Ci mancherebbe solo che, in periodo natalizio o quando si traguarda un nuovo anno, ci si metta a fare troppo i problematici e i pensosi. Noto, invece, che molte autorità politiche, anche in Valle d'Aosta, hanno assunto contenuti e pose da riflessivi padri di famiglia o da madri coraggio, alternando toni fra il drammatico e l'ecumenico, genere telepredicatore. Nelle loro parole si descrive - ma prima delle elezioni il mondo era ben diverso... - una situazione immanente, terribile e gravosa, che ci invita da una parte far assumere logiche pauperistiche e penitenziali e, dall'altra, a tirarci su le maniche in uno sforzo collettivo che ci renderà migliori e ci farà uscire dal mostro del nuovo Millennio: la Crisi. Noto una grande assente: l'autocritica sotto le forme dell'assunzione delle proprie responsabilità, spesso persino storiche. Ed invece, sul punto, certi decisori - da sempre fautori di certezze granitiche e di una forza leonina - diventano mansueti come cagnolini di fronte all'opinione pubblica, quasi tremebondi a causa delle difficoltà che ci investono. In fondo è comprensibile: sarebbe difficile dire cose del genere «ho fatto gravi errori», «capisco di non essere all'altezza», «mi sento inadeguato», «non ho gli strumenti per cosa si possa fare». Quella è una parte, che sarebbe solo un'operazione verità, che non si vuole fare, anche perché ormai la schizofrenia dei comportamenti è incredibile. Si dicono certe cose e se ne fanno altre, si annunciano i valori e li si calpesta, si predica democrazia e non la si pratica, si parla di occupazione e si sono sciupati soldi e opportunità. Esiste poi, come una presenza immanente, un turbinio di vicende che creano una ragnatela inquietante. Ma nulla cambia e si ripercorrono copioni già visti, contando sul disinteresse, la smemoratezza, l'impunità. Si lavora sempre nella logica che spunti qualche inciucio, che qualche doppiogiochista venga valorizzato, che le cose alla fine si aggiustino, che qualunque situazione alla fine venga digerita. Ho l'impressione che tutto ciò non avverrà e che la verità sarà destinata a svelarsi e questo comporterà un impegno per la comunità. Ha scritto Massimo Gramellini: «Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi». Bello pensare al Natale, sentendosi vivi.