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05 dic 2013

La sentenza della Consulta su piro e dintorni

di Luciano Caveri

E' stata depositata oggi la sentenza 285 della Corte Costituzionale sulla vicenda della legge che ha seguito in Valle d'Aosta il referendum che ha bocciato il pirogassificatore. Dando una rapida occhiata e usando brani della sentenza, cerchiamo di capire che cosa dice la Consulta. Il punto di partenza: "Il Presidente del Consiglio dei ministri, (...) ha impugnato l’articolo unico della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 23 novembre 2012, n. 33 (Modificazione alla legge regionale 3 dicembre 2007, n. 31 – Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti). La disposizione impugnata riguarda la gestione dei rifiuti e, in particolare, la realizzazione e utilizzazione di impianti di trattamento a caldo per il loro smaltimento. Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tale disposizione contrasterebbe, in primo luogo, con l'art. 15, secondo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), in relazione all'art. 7, comma 1, lettera a), della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 25 giugno 2003, n. 19 (Disciplina dell’iniziativa legislativa popolare, del referendum propositivo, abrogativo e consultivo, ai sensi dell’articolo 15, secondo comma, dello Statuto speciale), perché sarebbe stata adottata sulla base di un referendum propositivo che «non doveva essere dichiarato ammissibile». In secondo luogo, la norma impugnata sarebbe riconducibile alla materia della tutela dell'ambiente di competenza esclusiva statale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La disposizione regionale si porrebbe in contrasto con le norme del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in particolare con l’art. 195, comma 1, lettere f) e p) e con l'art. 196, comma 1, lettere n) e o), che individuano le competenze amministrative statali (art. 195) e quelle regionali (art. 196) nella gestione dei rifiuti". Sulla prima questione sollevata dal Governo "viene dichiarata l'inammissibilità della censura riferita all'art. 15, secondo comma, dello statuto speciale per la Valle D'Aosta/Vallée d'Aoste. Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione impugnata contrasti con l'art. 7, comma 1, lettera a), della legge reg. n. 19 del 2003, da cui discenderebbe la violazione del parametro statutario richiamato, perché la disposizione sarebbe stata adottata sulla base di un referendum propositivo che «non doveva essere dichiarato ammissibile». In particolare, la Commissione regionale per i procedimenti referendari e di iniziativa popolare, tenuta a pronunciarsi in merito «alla competenza regionale nella materia oggetto della proposta di legge», secondo quanto stabilito dal predetto art. 7, comma 1, lettera a), avrebbe «erroneamente ricondotto la proposta di legge regionale in esame alla materia della tutela della salute». Il Presidente del Consiglio dei ministri non contesta, dunque, la violazione di una norma da parte della Regione, ma le modalità con cui è stato esercitato il potere della Commissione regionale per i procedimenti referendari. Non è questa però la sede idonea per poter valutare tale doglianza, non essendo stato richiesto dal ricorrente un "giudizio sulle leggi". Il Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, ha compiuto una «impropria utilizzazione» dello strumento del giudizio di costituzionalità della legge «per un fine a esso estraneo», con conseguente inammissibilità della relativa censura". Restava, insomma da decidere se la Regione potesse legiferare sui rifiuti e la Corte si occupa in modo dettagliato della sua giurisprudenza sul tema e del quadro normativo per dire che la questione proposta dal Governo è fondata e i poteri principali sono dello Stato per una serie di "interessi nazionali". Dice la Corte Costituzionale: "Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma censurata è riconducibile alla materia della tutela dell'ambiente di competenza esclusiva statale ed è in contrasto con l'art. 195, comma 1, lettere f) e p) e con l'art. 196, comma 1, lettere n) e o), del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma regionale dispone, con riferimento al ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali non pericolosi, un divieto generale di realizzazione e utilizzazione sull'intero territorio regionale di impianti di trattamento a caldo per lo smaltimento dei rifiuti (quali incenerimento, termovalorizzazione, pirolisi o gassificazione). La norma eccede la competenza regionale. Infatti, la disciplina della gestione dei rifiuti, come già osservato, rientra nella materia «tutela dell’ambiente e dell'ecosistema» riservata, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla competenza esclusiva dello Stato (ex multis, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009). Esercitando tale competenza, lo Stato ha regolato, con l'art. 195, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 152 del 2006, il potere di localizzare gli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti di preminente interesse nazionale. La norma regionale preclude allo Stato, con procedure difformi da quelle disposte dalla norma statale, di individuare impianti di preminente interesse nazionale con la tecnica del trattamento a caldo dei rifiuti nell'intera Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste. Tale divieto impedisce la realizzazione delle finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, indicate dalla norma statale. Questa Corte ha rilevato che «la comprensibile spinta, spesso presente a livello locale, ad ostacolare insediamenti che gravino il rispettivo territorio degli oneri connessi (secondo il noto detto "not in my back-yard"), non può tradursi in un impedimento insormontabile alla realizzazione di impianti necessari per una corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di rilievo ultraregionale» (sentenza n. 62 del 2005). La disposizione impugnata contrasta con la lettera p), comma 1, art. 195 e con le lettere n) e o), comma 1, dell’art. 196, del d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo queste disposizioni, spetta allo Stato «l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti» (articolo 195, comma 1, lettera p); nel rispetto di tali criteri generali, la Regione definisce i «criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti» (art. 196, comma 1, lettera n); inoltre, la Regione determina i «criteri per l'individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento […]» (art. 196, comma 1, lettera o), dovendo rispettare «i principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli di cui all'articolo 195 […]», sulla base di quanto indicato nella parte iniziale dello stesso art. 196, comma 1. La disposizione impugnata, imponendo un divieto generale di realizzazione e utilizzo di determinati impianti su tutto il territorio regionale, non contiene un "criterio" né di localizzazione, né di idoneità degli impianti. Si tratta di un limite assoluto, che si traduce in una aprioristica determinazione dell'inidoneità di tutte le aree della Regione a ospitare i predetti impianti. Questa Corte, in altre materie come quella della localizzazione di impianti energetici, ha affermato il principio generale per cui la Regione «non può introdurre "limitazioni alla localizzazione", ben può somministrare "criteri di localizzazione", quand'anche formulati "in negativo", ovvero per mezzo della delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, e purché ciò non determini l'impossibilità di una localizzazione alternativa» (sentenza n. 278 del 2010); del resto, «la generale esclusione di tutto il territorio […] esime dalla individuazione della ratio che presiede alla dichiarazione di inidoneità di specifiche tipologie di aree» (sentenza n. 224 del 2012); pertanto, alla Regione non può essere consentito, anche nelle more della definizione dei criteri statali, di porre limiti assoluti di edificabilità degli impianti (sentenza n. 192 del 2011). Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo unico della legge reg. Valle d'Aosta n. 33 del 2012, perché in contrasto con gli artt. 195, comma 1, lettere f) e p), e 196, comma 1, lettere n) e o), del d.lgs. n. 152 del 2006, con conseguente violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.". Non ho sfoltito i troppi riferimenti legislativi, ma credo che fosse utile per capire, visto che il "giuridichese" della Consulta non è troppo spinto. Resta il fatto politico e cioè la determinazione maggioritaria dei valdostani attraverso lo strumento del referendum e questo, al di là di tutto, resta in tutta la sua validità e nessuno può giocare su questo per tornare su trattamenti a caldo.