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28 nov 2013

A proposito delle verdure invernali

di Luciano Caveri

Prima regola da genitori: farsi i fatti propri con i figli degli altri. Qualunque commento rischia sempre di essere sgradito e inopportuno. Per cui vige la regola aurea del "zitto e mosca" (il silenzio in cui non si sente volare neppure una mosca...). Un tempo questo ammonimento risuonava nelle nostre orecchie di bimbi e ha consentito forme di educazione che oggi paiono solo un ricordo. Ci penso al silenzio, per evitare qualunque intromissione con discussione annessa, ogni volta in cui capita di sentire genitori che si lamentano che i propri figli non mangiano le verdure e i poveri parenti raccontano come si vedano costretti ad astuzie per costringerli al consumo o a lotte "corpo a corpo" per ingollare i pargoli con gli indispensabili vegetali. Rifletto, allora, su quanto io sia stato fortunato (e facendo ereditare ai miei figli questa stessa caratteristica) ad aver subito, sin da piccolo, una corretta "moral suasion" su una cucina onnivora, che è stata di certo facilitata dal fatto - in tema di verdure - che sono cresciuto negli anni in cui l'orto di casa era ancora una realtà. Ho sempre ammirato gli orticoltori e non ci vuole molto a dire quanto la Natura offra, grazie alla costanza di chi semina e raccoglie, straordinarie varietà. Giova ricordare quanto un tempo ci si ingegnasse nella loro conservazione, prima che il congelatore diventasse una figura familiare in cantine o garage. Ho raccontato, tempo fa, di un libro sul mondo botanico, in cui si spiega di come l'orticoltore nella sua versione più antica sia di certo una creatura premiata dalla sua capacità, in una logica darwinistica, di avere maggiori chance di vita e di adattamento. Così come, rovesciando l'assioma, frutta e verdure si siano ingegnate, in vista della conservazione della loro specie, ad interagire con la specie umana. Così, in questi giorni, mi sono convinto, seguendo questo filone di pensiero e con una speculazione intellettuale del tutto inutile se non per farvi sorridere, di come certe verdure autunnali e invernali giochino il loro futuro sulla bizzarria delle forme, ma soprattutto sulla sapidità e persino su odori forti. Beccatevi un elenco non esaustivo e il semplice nome evoca fattezze e gusti: barbabietole, broccoli, bietola da costa, carciofi, cardi, cavolfiori, cavoli cappuccini, cavolini di Bruxelles... Non vi tedio con l'elenco completo che termina, ovviamente, con porri, spinaci, verza e zucca. Il più tenebroso di tutti, nascosto nella terra, ma maliziosamente pregno di un profumo inconfondibile, è lui, il tartufo. So che non siamo fra le verdure, ma fra i funghi, creature misteriose, che oscillano fra il sublime piacere della vita, spuntata di botto, e la terribile trappola velenosa che incombe su chi non sappia distinguere i buoni dai cattivi. Confesso, in annate come queste in cui i tartufi - scovati dai cani dall'odorato allenato e scavati dai trifulau - si trovano a prezzi non da gioielleria, il piacere di una degustazione. Ognuno ha le sue preferenze: io sono per l'uovo al tegamino, ma anche la nostra "Fontina" valdostana nella saporita fonduta è ideale letto di morte per il solo vero tartufo, quello bianco, il piemontese "Tuber magnatum Pico". Un godimento per il mio nasone e per il palato.