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10 nov 2013

L'ora di Renzi

di Luciano Caveri

Fatta salva la particolarità politica valdostana, nata e sviluppatasi nel secondo dopoguerra e dimostratasi tale da allora sino ad oggi, in Italia il tentativo è stato - specie con la leva della legge elettorale - di dar vita ad un sistema bipolare, che limitasse lo spezzatino proporzionalistico. Fra alti e bassi, a sinistra come a destra, il bipolarismo all'italiana non ha mai funzionato davvero e ancora oggi si spera in una nuova legge elettorale, come se fosse un toccasana per avere stabilità di Governo. Io resto convinto, ma non ci torno perché ne ho parlato troppe volte, che ci sia da rimettere in gioco la forma di Stato, ma vi risparmio il plaidoyer federalista. Tornerei, semmai, alle due grandi aggregazioni: se il centrodestra piange, il centrosinistra non ride. Da una parte - e ne ho scritto molto - il "dopo Berlusconi" continua a essere un travaglio senza parto e la situazione ristagna mentre le faglie interne si evidenziano, dall'altra il centrosinistra è scosso dalle febbri del Partito Democratico che cerca il suo nuovo segretario con la prescelta via crucis delle primarie e annesse divisioni. Di questi tempi è questo il capitolo che più mi interessa: dimostratasi fallimentare la leadership di Pierluigi Bersani (mai avrei detto che sarebbe stata così rovinosa), ora suona davvero l'ora di Matteo Renzi. Segno che, come mi ammoniva il senatore Cesare Dujany, in politica bisogna avere la pazienza di Giobbe e sapere che si può assistere ad improvvisi rovesciamenti di fronte. Così Renzi è rinato dalle proprie ceneri e questo è avvenuto più in fretta di quanto ci si potesse pensare. Constato come, in questo periodo di crisi economica che incide come non mai su fiducia e speranze e anche su qualità della vita e benessere dei singoli e delle famiglie, cui si somma un generale disamore verso la politica, Renzi sia diventato - bon gré, mal gré - oggetto di consensi trasversali di "renziani" con diverse motivazioni. Ci sono, anche se divisibili in diverse tipologie, i "renziani della prima ora", quelli che alle primarie scorse - che erano per il premierato - avevano puntato sul sindaco di Firenze, uscendone sconfitti. Ci sono poi i "renziani del PD della seconda ondata": quelli che da allora hanno cambiato cavallo e a fronte del degrado hanno deciso per Renzi con motivazioni differenziate, ma uniti dalla convinzione che il PD sia all'ultima spiaggia. C'è, dunque, chi lo fa sorridendo e chi turandosi il naso. C'è poi la categoria dei "nuovi", magari astensionisti o elettori della destra, che sono attirati dal carisma renziano e dall'impressione che possa proporre una svolta alla politica italiana. Questi sono pronti ad andare a votarlo l'8 dicembre. Poi ci sono quelli che non andranno a votare, anche in questo caso per varie ragioni, ma guardano a Renzi con interesse di diversa gradazione, anch'essi uniti sul fatto del: perché non dargli la fiducia, tanto che cosa c'è da perdere? Insomma: Renzi vincerà le primarie, questa volta per la guida del partito e poi si vedrà. Potrebbe essere che, nel frattempo, il Governo Letta vada in déconfiture oppure potrebbe, invece, reggere sino a fine 2014, quando si concluderà il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, dopo la Grecia che farà i primi sei mesi dell'anno prossimo. Par di capire che, anche in caso di successo di Renzi, che potrà essere grande o piccolo (e non sarà la stessa cosa), gli scenari potranno risultare vari. Si va - e cito i due estremi - da una lunga attesa da segretario PD, aspettando che si apra un varco per Palazzo Chigi con elezioni anticipate, ad un possibile azzeramento rapido, sin dalle prossime settimane, con elezioni a marzo 2014 per giocarsi la partita. Insomma, anche in questo caso, bisogna rifarsi alla necessità di aspettare.