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21 ott 2013

Contro il culto della personalità

di Luciano Caveri

Il culto della personalità è, in politica, una brutta storia, che si declina ovviamente in forme di diversa gravità. La definizione, che non ha nulla a che fare con le forme buone di leadership, ma ne è una degenerazione, suona così: "forma di idolatria politica che porta alla venerazione e all'esaltazione del pensiero e dell'opera di un personaggio politico, cui vengono attribuite doti di infallibilità e alla cui figura di capo si fa risalire tutto il bene di un Paese". Quando dico che si evidenzia in vari modi, intendo proprio dire che si va da forme blande di accettazione passiva del fenomeno - permeata anche da un addendo: la paura che fa parte di questi sistemi - sino a chi trasforma l'esaltazione del Capo in una sua personale religione. Non è più politica, ma diventa atto di fede e come tale prescinde da fatti concreti. Ci pensavo rispetto alla situazione difficile e complessa della Valle d'Aosta fra tagli finanziari impressionanti, politiche confuse che colpiscono molti settori, sospetti sulla limpidezza di certi dossier. Ebbene per molti ancora la scorciatoia resta il culto della personalità del presidente, Augusto Rollandin. Chi lo attacca - basta vedere nei social media - diventa cattivo, traditore, venduto, invidioso. E uso delle espressioni riferibili, perché in certe difese d'ufficio, da bar, si sente ben di peggio. Questa logica della difesa "Perinde ac cadaver" (motto dei gesuiti che dice che bisogna farsi trascinare dalla fede a corpo morto) trova forme singolari di obbedienza e di giustificazione di qualunque cosa. Prendete - ad esempio - certi sindaci di fronte all'evidente progetto di centralismo regionale, attraverso continui tagli di risorse ai Comuni, nel nome della crisi. Dovrebbero per missione difendere i diritti delle comunità che li hanno eletti, ma nella logica del culto della personalità, certi non si permettono di criticare: così non solo tacciono nelle sedi ufficiali ma, se intervistati, sono comprensivi e melliflui. Se "Lui" ha deciso - questo il succo - lo ha fatto perché costretto e comunque agisce per il bene di tutti noi. Amen. Manca solo la genuflessione. Ricordo, quando mi capitava di contrastare nel gruppo dell'Union Valdôtaine certe decisioni. Le critiche venivano accolte nel silenzio e con fastidio. Anche chi mi dava ragione in privato, nella riunione non si esponeva. Raramente c'era chi, magari neppure conoscendo il tema, interveniva con virulenza per compiacere il capo, sperando in una medaglia. Eroismi inutili, visto che la gran parte di quelli che lo facevano, in queste elezioni, sono stati lasciati a casa, nella logica elegante dell'"usa e getta". Avanti i prossimi. Alla fine vale un celebre passaggio di "Avere o essere?" di Erich Fromm, che dice nella sua logica umanista: "La democrazia può resistere alla minaccia autoritaria soltanto a patto che si trasformi, da "democrazia di spettatori passivi", in "democrazia di partecipanti attivi", nella quale cioè i problemi della comunità siano familiari al singolo e per lui importanti quanto le sue faccende private". Perfetto anche per la Valle d'Aosta di oggi.