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08 ott 2013

Malgrado non ci debba essere rassegnazione

di Luciano Caveri

Purtroppo tocca farlo, anche se, rispetto ai miei bioritmi che prediligono l'alba, scrivere nel pomeriggio mi turba. Ma lo faccio, a causa della circostanza che, in queste ore, la matassa della politica italiana è ormai inestricabile, come la più fitta delle foreste amazzoniche e qualunque cittadino informato e partecipe si trova in questa situazione. Ci scherzo sopra, perché meglio non perdere il sorriso, ma lo faccio con la morte nel cuore, perché questo dedalo in cui si vaga non porterà, alla fine, niente di buono. Anche le democrazie, per quanto scalcagnate, possono morire di certo per cause violente, ma anche perché investite dal ridicolo e cosa avverrà dopo, quando si è buttato "il bambino con l'acqua sporca", è meglio non saperlo. Torna Enrico Letta dagli Stati Uniti, Giorgio Napolitano - prima di riceverlo - si commuove in pubblico perché attonito per la situazione, Forza Italia annuncia una manifestazione per la giornata di riunione della Giunta del Senato in cui arriverà il redde rationem per Silvio Berlusconi e, tuttavia, appaiono in televisione personalità del già Popolo della Libertà che annunciano che il Governo non si tocca, anche se i parlamentari già pidiellini hanno detto che daranno le dimissioni, pur se la modalità scelta è sinora da avanspettacolo. Non so cosa ci vorrebbe oggi. Mi domando, ogni tanto, se si sia raggiunto il fondo. Per altro, questa situazione d'incertezza non riguarda solo l'Italia. Il Consiglio Valle di ieri, con un'opposizione che mostra il vasto affresco di una situazione difficile e piena di magagne, si è trovata di fronte a risposte che oscillano fra la vaghezza e il muso duro. Una situazione paradossale, come può esserlo un tramonto, quando si allungano le ombre e si sa già che arriverà il buio. Tutto si può accettare - sia chiaro - ma non la rassegnazione. Mi è capitato spesso di ricordare come le generazioni come quella di mio padre e dei miei nonni abbiamo vissuto di peggio fra l'Ottocento e il Novecento. Non è consolatorio, ma anche loro ne sono usciti e anche noi, anche per nome e per conto di figli e nipoti, sarà bene che ci mettiamo di buzzo buono.