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19 set 2013

La Cina in un tagliere

di Luciano Caveri

A me non spiace che, talvolta, ci sia un mondo alla rovescia. Bisogna sempre avere il coraggio di guardare le situazioni da un punto di vista diverso. Ricordo che Gianni Rodari - con la sua inventiva bislacca - ci aveva fatto una filastrocca: "C'era una volta un povero lupacchiotto, che portava alla nonna la cena in un fagotto, e in mezzo al bosco, dov'è più fosco, incappò nel terribile Cappuccetto Rosso, armato di trombone, come il brigante Gasparone. Quel che successe poi, indovinatelo voi. Qualche volta le favole succedono all'incontrario e allora è un disastro: Biancaneve bastona sulla testa i nani della foresta, la Bella Addormentata non si addormenta, il principe sposa una brutta sorellastra, la matrigna tutta contenta, e la povera Cenerentola resta zitella e fa la guardia alla pentola". Ma la realtà ogni tanto è per davvero un mondo alla rovescia, che non è una sana provocazione per ragionare, ma solo un paradosso. Raccontiamo una vicenda: nel corso di una manifestazione, denominata "Chef Vallée", svoltasi presso "Dinus donavit hall" della famiglia Bertolin, l'Office du Tourisme ha regalato ai partecipanti un tagliere in legno "Made in China". C'è chi ha sorriso e chi ha protestato. Quando il settimanale "La Vallée notizie" ha chiesto la ragione della scelta, dall'Office è arriva la spiegazione con il tono di chi la sa lunga. In sostanza: i taglieri provenienti dalla Repubblica popolare Cinese costavano poco e certamente meno di quelli di produzione locale, con tanto di preventivi. Questa differenza di prezzo, esplicitata a giustificazione dell'acquisto, dovrebbe essere la prova schiacciante per dimostrare l'economicità della cineseria rispetto alle esose richieste degli artigiani locali, essendo la qualità - par di capire - neppure considerata. Facciamo un respiro forte, contiamo fino a cento e cerchiamo di capire, invocando la benedizione di Sant'Orso, protettore dell'artigianato tipico locale. Chi predica questa logica al ribasso, chiedendo un preventivo nel lontano Oriente, sembra non aver capito una serie di cose. La prima: nelle mission dell'Office si suppone che ci sia la valorizzazione del territorio valdostano e dei suoi prodotti. Per cui scegliere un tagliere cinese, che è frutto tra l'altro d'imitazione, e non uno originale di produzione valdostana nel solco della tradizione, è una contraddizione. Chi non lo capisce, ci si domanda come possa occuparsi di strategie di vendita e affini. Perché, se il principio fosse il risparmio, allora per quale ragione un turista dovrebbe comprare la fontina e non un formaggio tarocco, perché dovrebbe bere un vino locale e non un tavernello a buon prezzo? Oppure perché dovrebbe venire in Valle d'Aosta, visto che ci sono zone montane equivalenti, ma meno costose? Ma si vede che, come per le note apparecchiature delle centrali idroelettriche della "Compagnia valdostana delle acque", con la Cina esiste un feeling, che rende Aosta e Pechino più vicine degli ottomila chilometri circa in linea d'aria. 你好!(nǐhǎo): Ciao!