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02 ago 2013

Ascoltare i valsusini

di Luciano Caveri

Ho seguito, per alcuni anni e molto da vicino, la vicenda dei trasporto merci in zona alpina, tema su cui cerco di tenermi aggiornato. L'interesse, sin dall'origine, era evidente: uno dei corridoi di passaggio dei Tir è stato, da una quarantina d'anni, quella tratta della "Rete transeuropea dei trasporti" su strada, che è il tunnel del Monte Bianco con le autostrade afferenti sui due versanti. In particolare questo avvenne, dopo la riapertura del traforo a seguito dei lavori dovuti alla tragedia dell'incendio dentro il tunnel nel 1999, prima con il via al traffico leggero nel marzo 2002 e poi, quattro mesi dopo, coi camion a senso alternato e infine a doppio senso l'anno successivo. Allora gli ambientalisti temevano un boom nei passaggi di mezzi pesanti - e dati derivanti da diversi studi confermavano i timori - e questo supportava due necessità: contingentare ragionevolmente i Tir in transito in Valle, sapendo che mai un blocco sarebbe stato accoglibile dalle autorità comunitarie e, visto dalla mia visione di allora, allineare l'Italia alla scelta svizzera di trasferire le merci dalla rotaia alla gomma. La Confederazione Elvetica aveva, non a caso, preventivato due nuovi tunnel ferroviari: la galleria di base del Lötschberg, che con i suoi 34,6 chilometri collega le località svizzere di Frutigen e Raron ed è stata inaugurata il 16 giugno 2007 e quella di base del San Gottardo, ancora in costruzione e in esercizio dal dicembre 2016, che collegherà le località svizzere di Erstfeld e Bodio e sarà, con i suoi 57 chilometri di lunghezza, il tunnel ferroviario ad alta velocità più lungo del mondo. Costruzioni ciclopiche, che rientrano nel progetto ferroviario svizzero "AlpTransit", che mirava a togliere il più possibile camion dal territorio transalpino. Allora in Italia si discuteva di due trafori: il "Torino - Lione" di base e analogo traforo fra Austria e Italia (Tirolo del Sud) sotto il Brennero. Il secondo, partito più tardi, sembra ormai avviato in modo deciso ed è di ieri lo stanziamento suppletivo di 106 milioni di euro dell'Unione europea per un'opera che ha ormai un decimo del percorso in galleria già realizzato. Invece la Torino-Lione langue per carenza di soldi in Italia e per una volontà francese di spostare l'opera dopo il 2030. Pesa in più il "no" della gran parte della Val di Susa e il manifestarsi di dissenso anche sul versante francese, sinora piuttosto silente. Sul punto vorrei dire la mia, sapendo che non ho mai nascosto di essere stato favorevole a questo traforo ferroviario nelle circostanze di una decina di anni fa. Oggi il tempo passato, lo scenario europeo mutato e la crisi economica incombente invitano, tuttavia, alla prudenza e spiace che l'appello dei sindaci valsusini ad un dialogo rinnovato sul traforo di base sia coinciso con azioni giudiziarie, addirittura con ipotesi di reato di terrorismo e eversione, verso la frangia violenta che si è insinuata nel movimento "No Tav" e sulla quale non ci devono essere ambiguità o complicità. Questa circostanza obbliga ad una riapertura del dialogo e non per ragioni ideologiche, che lasciano il tempo che trovano, ma perché lo scenario in cui il traforo nacque è cambiato (la "Lisbona - Kiev" si è sgonfiata, così come è diminuito il numero di Tir in transito attraverso le Alpi) e sarebbe bene ormai aspettare l'esito dell'esercizio del nuovo San Gottardo. Oggi far finta di niente rispetto alle proteste dei montanari della Val di Susa si dimostrerebbe una scelta miope e ne approfitterebbero solo quei movimenti antagonisti che cavalcano la tigre per i loro disegni. E la violenza, sia chiaro, non porta da nessuna parte.