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16 lug 2013

L'amore per la Radio

di Luciano Caveri

Il giorno in cui finiscono le novità è un brutto segno. Per questo sono garrulo se, dopo tanto tempo, mi appresto a tornare in prima persona e dunque parlante - con il sapore del ritorno al passato, ma in una logica attuale - alla Radio. Uso il maiuscolo, perché quando ci vuole ci vuole. Che si tratti di un amore antico lo dimostra l'epoca del mio primo esordio al microfono: temo si tratti di tanto tempo fa, tipo 1976 o giù di lì, a "Radio Saint-Vincent" di Daniele Bernini agli esordi delle radio che chiamavamo "libere". Poi arrivò "Radio Reporter 93" di Torino, dove mi accompagnò mio fratello Alberto e penso solo grazie a lui mi presero come giovane redattore negli studi di Corso Galileo Ferraris. E infine - dopo la televisione valdostana "RTA" - c'è stata la "Rai" con la "Voix de la Vallée", ascoltata sin da bambino alle 12.10 e faceva impressione trovarsi, di conseguenza, dall'altra parte fra quelli che trasmettevano e non fra quelli che ascoltavano. Con la politica, in aspettativa dalla "Rai", mi sono tenuto in esercizio con "Radio Monte Rosa" prima e poi, per tanto tempo, nella trasmissione settimanale sulle frequenze di "Top Italia Radio". Tornato in "Rai", pur senza potere usare la mia voce perché eletto, ho per alcuni anni seguito il lavoro degli altri nel settore di mia responsabilità, i "Programmi", che da qualche anno in radio vengono trasmessi su "Radio1", proprio dopo la "Voix", fra le 12.30 e le 14 con - in mezzo alle due tranche - il "Gr1". Un appuntamento sei giorni su sette, che mi appresto a vivere da lunedì prossimo con un ritorno in onda in FM (mancano "streaming" e "podcast" sulla Rete, purtroppo per ora). Ora mi diverto alla preparazione tra scelta degli ospiti, musiche da programmare e scalette da scrivere, ritrovando a pieno quello che è stato un primo amore. Molto è cambiato rispetto al passato e a quelle regole che nel 1953 vennero dettate dallo scrittore Carlo Emilio Gadda nel celebre "Norme per la redazione di un testo radiofonico", ma alcune cose - pur oggi prevalendo aspetti di maggior spontaneità - restano valide come: «Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per ogni periodo, i quattro righi dattiloscritti; attenersi, preferibilmente, alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato con i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo». E ancora: «Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive). All'affermazione: "Cesare, avendo accolto gli esploratori i quali gli riferirono circa i movimenti di Ariovisto, decise di affrontarlo", sostituire: "Cesare accolse gli esploratori. Seppe dei movimenti di Ariovisto e decise di affrontarlo"». Spiega ancora Gadda: «Il tono "gnomico" e "saccadé" che può risultare da un siffatto incanalamento e governo della piena (di idee) non dovrà sgomentare preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l'altra le idee avranno esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una fila di persone che porgono il biglietto, l'una dopo l'altra, al controllo del guardiasala. La consecuzione delle idee si distende nel tempo radiofonico e deve avere il carattere di un "écoulement", di una caduta dal contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al "vuoto radiofonico"». Ancora un ultimo esempio tratto dal testo: «Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. La regìa si riserva di espungere dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile al microfono. L'occhio e la mente di chi legge arrivano a superare una parentesi, mentre la voce di chi parla e l'orecchio di chi ascolta non reggono alla impreveduta sospensione. Nel comune discorso, nel parlato abituale, nella conversazione familiare non si aprono parentesi. Il microfono e il radioapparecchio con lui, è parola, è discorso. Non è pagina stampata. La parentesi è un espediente grafico e soltanto grafico. Seguendo nel parlato un'idea, non è opportuno abbandonarla a un tratto per correr dietro a un'altra in parentesi. E meglio liquidare la prima, indi provvedere alla seconda; così il cane da pastore azzanna l'una dopo l'altra le pecore per ricondurle al gregge: non può azzannarle a tre per volta. Congiunzioni temporali e modali e gentilmente avversative (dunque, pertanto, in tal caso, per tal modo, per altro, ma, tuttavia) permetteranno di agire in ogni evenienza con risultati apprezzabili, senza ricorrere a incisi, a parentesi». La lezione di Gadda, con questo suo linguaggio filante pur con espressioni ormai desuete (tipo il francesismo "saccadé", cioè "a scatti"), prosegue poi con altre indicazioni preziose, ma troppe spesso disattese per una crescente sciatteria del linguaggio parlato. Cercherò di attenermi alla bontà espressiva indicata, in un programma estivo in cui il tono "leggero" è ovvio per stagione e orario. A lunedì, per chi lo vorrà.