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16 lug 2013

Il sol dell'avvenire del Turismo

di Luciano Caveri

Attorno al "Turismo", inteso nel suo disegno più ampio di una pluriattività e cioè una sorta di ragnatela, che collega i settori più diversi, si agitano mille idee e mille proposte per fermare il declino dell'estate in montagna. Se ne discute specie sulle Alpi, che in Europa restano lo spazio montano più grande e maggiormente legato al turismo nelle sue diverse accezioni con esperienze e successi così vari da consentire comparazioni. Ritengo, in questo senso, un autentico privilegio aver avuto delle esperienze di dialogo fra le diverse realtà alpine in istanze internazionali, come la "Convenzione Alpina" o in iniziative progettuali emerse nello Spazio Alpino. Un esempio è stata quell'iniziativa, che ho pure presieduto per alcuni anni, che si chiama "Via Alpina", e che collega tutta la catena alpina con una sentieristica lungo tutta la sua estensione. O lo stesso è valso nel settore, che ho seguito per un certo periodo, dei trasporti alpini, così connessi al turismo. Se qualcosa mi manca nella politica attiva, è di non poter seguire in prima persona quello sviluppo politico della "Macroregione alpina" su cui sento dire, purtroppo, un sacco di baggianate, perché studiare i dossier costa fatica e spesso chi parla lo fa senza cognizione di causa. Sul turismo ho partecipato nella mia vita a convegni, incontri, riunioni attorno al problema e guardo sempre come dei marziani quelli che hanno ricette certe, specie fra gli addetti ai lavori - tecnici del ramo oggi sulla scena - che spiegano a tutti come bisogna fare e poi, nel loro grande affannarsi, ottengono risultati scarsi. Io trovo che, specie in tempo di crisi, con il suo effetto distorcente e la possibilità di essere un bel paravento per certe mediocrità, le strade giuste non siano mai così banali, ma vorrei dire che ho ormai almeno due convinzioni che sono per me delle sicurezze. La prima è la straordinarietà della bellezza delle nostre montagne e la varietà di offerta possibile in un realtà naturalistica e in un'espressione umana e culturale piccola, ma molto variegata, rispetto alla vastità delle Alpi. Una sorta di bonsai che racchiude tanti aspetto della "Civilisation alpine", di cui la "Civilisation valdôtaine" è un sottoinsieme, di cui possiamo andare fieri. La seconda è che a quanto sopra non corrispondiamo sempre in termini di accoglienza e di professionalità e forse è ora di dire che il gap accumulato per il ritardo nei tempi di partenza del nostro turismo rispetto ad altre zone non può più essere un alibi ed è ora anche di fare una seria autocritica su che cosa funzioni e non funzioni. Ma il dibattito è fermo perché lo strumento convegnistico non serve più e l'associazionismo o langue nella palude delle abitudini o è lacerato da lotte intestine. E intanto la crisi morde e i dati, che sembrano sempre più ottimistici della pessima percezione generale, sono ormai un metodo di rilevamento obsoleto. Altri criteri e indicatori nuovi - e magari istantanei per evitare foto della situazione solo ex post - potrebbero essere preziosi. Ma forse ho torto: meglio far finta che quello che vediamo è il sol dell'avvenire e non un tramonto.