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23 giu 2013

Il viaggio

di Luciano Caveri

Sono a Parigi con i miei due ragazzi grandi. Potrebbe essere definito un viaggio per la promozione a scuola, ma in verità era una richiesta di Eugénie - che c'era stata tanti anni fa e ne aveva una memoria vaga - cui il fratello Laurent, pur borbottando come suo costume (c'è stato di recente in gita scolastica), ha partecipato. Preciso che, cuore di padre, li avrei portati anche se rimandati. Devo dire a questo proposito - prima di venire al punto - che mio padre, Sandro, mi diede a quattordici anni una lezione di vita. Il patto stipulato per l'anno scolastico 1972-1973 era: «ti compro il motorino se non vieni rimandato». Ma quell'anno, al "Ginnasio", venni rimandato e mi rassegnai silente, perché avevo sbagliato e mi toccava pagare, anche se il motorino significava un balzo in avanti nella conquista della mia libertà. Agevolato, per altro, dal fatto che a mio fratello, alla mia stessa età, il motorino era stato negato, ma avendogli comprato la "125" a sedici anni, la strada per me secondogenito era spianata. Ma mi ero fatto rimandare... Ricordo che, dopo un bel pranzo in osteria con i compagni di classe, tornai a casa nel pomeriggio e - abbagliato e stranito - vidi di fronte a casa un motorino rosso nuovo di trinca. Era un "Beta 50", che avevo studiato sulle riviste di moto, comprato dall'officina "Deval" ad Arnad (uno era quel Luciano, che oggi mi spara a tutto spiano sui "social media"). Se non morii d'infarto dalla gioia, poco ci mancò e mio papà mi catechizzò e la lezione, cioè come l'amore di un genitore può servirti nella severità ma anche nella generosità, mi è servita tante volte. Chissà che fine ha fatto quel motorino, che fu poi un pochino modificato per renderlo più "grintoso". So che era, ancora alcuni anni fa, usato in una casa di campagna vicino al lago di Viverone, ma penso che sia ormai nel Paradiso delle moto... Torno a bomba su Parigi e l'"uscita" con i due adolescenti, con cui condividerò una "tre giorni" faticosa, perché a quell'età sono piuttosto "puntuti". Spero di essere riuscito a trasferir loro la curiosità della conoscenza, che passa anche con un ragionevole desiderio di conoscere il mondo. Ho degli amici - e ho anche avuto dei colleghi politici - che fanno del fatto di restare sempre in Valle d'Aosta un motivo d'orgoglio. Per carità, ognuno è libero di fare le cose che preferisce. Mi piace, per contro, pensare che il viaggio ci apra la mente e possa essere sempre scoperta e stupore, come scriveva quattrocento anni fa quella straordinaria personalità che fu Michel de Montaigne: «Je réponds ordinairement à ceux qui me demandent raison de mes voyages: que je sais bien ce que je fuis, mais non pas ce que je cherche».