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30 mar 2013

Per uscire dal limbo

di Luciano Caveri

Verrebbe voglia, ogni tanto, di riprendere i celebri versi di Guido Gozzano, decontestualizzarli dalla loro epoca, sostituendo il suo nome con il mio e mettendolo alla rovescia per via della rima:

"Ma dunque esisto! O strano! vive tra il Tutto e il Niente questa cosa vivente detta caveriluciano!".

Mi scuso con il poeta - amante e frequentatore della nostra Valle, specie di Ayas - per la goffa ricopiatura. Ma quel "Tutto e Niente", posto nell'oggi, mi sembra adattissimo a chi, superati i cinquant'anni, nato e cresciuto con punti di riferimento solidi e grandi certezze, si trova ad assistere ad un mondo che cambia in profondità e che ti costringe ad inseguirlo per non perdere il passo. Dove poi conduca esattamente la strada non è dato, allo stato, sapere. Ma la rassegnazione non serve a nulla, serve coltivare le speranze. Ricordo di aver dato un esame all'Università sugli utopisti, cioè tutti quei pensatori che immaginarono nei loro libri delle società ideali, descritte in modo più o meno fantasioso. La parola "utopia" viene dal greco ed è formata dal termine "ou", che vuol dire "non" e da "topos", che è "luogo" e perciò diventa - termine assai immaginifico - "luogo che non esiste". La parola si deve a Tommaso Moro che la adoperò come titolo dell'opera cinquecentesca in cui presenta il suo modello di una società perfetta, fondata sull'uguaglianza economica e giuridica fra cittadini. Ne seguirono altre, con Tommaso Campanella e Francesco Bacone e poi, più vicino a noi, personaggi singolari come Charles Fourier e François-Noêl-Babeuf (di cui fu segretario il valdostano Guillaume Cerise) e mi fermo qui per evitare un elenco. Direi solo, da federalista, che nel filone degli utopisti ci stanno anche dei pensatori federalisti (come il bizzarro Pierre-Joseph-Proudhon) che hanno immaginato un cambiamento della società attraverso formule di governo alternative ai sistemi istituzionali esistenti. Certo, valgono sempre dei giusti ammonimenti, come ha fatto Jacques Attali in una sola frase: "Y-a-t-il encore place aujourd'hui pour des utopies après tant et tant de crimes perpétrés en leur nom?" e basta pensare a certi esiti della Rivoluzione francese o del comunismo per farsene una ragione. Ma dalla profondità della storia (e si potrebbe tornare indietro persino fino a Platone) certi utopisti hanno avuto quella capacità immaginativa e prospettica che solo grandi menti possono avere. Insomma il "non luogo" può diventare "luogo" e agitare idee che finiscono per diventare realtà. Per questo la politica è disegnare il futuro, costruendo anche delle utopie grandi e piccole che debbono concretizzarsi. Questa è la politica: troppo spesso in Valle d'Aosta ci facciamo investire, me compreso, dalle visioni della sola amministrazione, che è - senza impulsi e speranze - ben poca cosa. Per questo, se vogliamo corrispondere a certe attese, senza essere sospesi ad aspettare che il futuro si limiti ad arrivare, tocca affrontare il problema di un progetto di largo respiro imbevuto, anche di sogno, senza vivacchiare nel limbo attuale.