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28 mar 2013

Quella storia dei marò

di Luciano Caveri

«Prego, grazie, scusi, tornerò».
Così, con il ritornello, di una vecchia canzone di Adriano Celentano viene fotografata la figuraccia in mondovisione sul caso dei due marò italiani sotto processo in India. Peccato che da commedia all'italiana la vicenda rischi di trasformarsi in tragedia e, per altro, i morti - due pescatori indiani - ci sono già stati. I fatti sono sono noti. Il 15 febbraio 2012 i due soldati, che sono a difesa di una petroliera italiana in zona infestata da moderni "pirati" con altri quattro "lagunari", sparano - secondo l'accusa - ventiquattro colpi di fucile contro un peschereccio indiano, uccidendo appunto due membri d'equipaggio. Il Governo italiano ha sempre dichiarato che la petroliera, al momento della sparatoria, si trovava a circa trenta miglia nautiche fuori dalla costa indiana, dunque in acque internazionali. Pertanto, in questo caso, avrebbero dovuto essere applicate le leggi italiane, valide sulla nave oggetto di scorta armata. La Marina Italiana ordina per questo al capitano della nave di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani implicati nella sparatoria.

Il capitano – che è un civile e risponde solo agli ordini dell’armatore - accetta invece le richieste delle autorità indiane e i marò finiscono impastoiati in una giustizia indiana lenta e macchinosa, che però in sostanza rivendica la giurisdizione sul caso. La difesa italiana pareva - ma ormai penso che sia una tesi tramontata - ruotare attorno al fatto che la "nave assaltatrice" non sarebbe stata quel peschereccio di cui si parla, ma un altro battello che mostrava intenzioni ostili. In attesa del processo, prima i militari ottengono una detenzione domiciliare, poi rientrano con un permesso per Natale, tornando in India come promesso e ottengono - anche per questa dimostrazione di correttezza - un secondo permesso per votare alle recenti elezioni politiche. In questa seconda circostanza avviene il colpo di scena: il Governo Monti decide la linea dura, annunciando che i marò resteranno in Italia e si apre un caso diplomatico mica da ridere, visto che l'India fa fuoco e fiamme (compresa la già piemontese Sonia Gandhi) e "trattiene", come reazione, l'Ambasciatore italiano, che essendo stato garante del rientro dei due militari potrebbe persino essere arrestato. Poi, in contemporanea, si registrano altri due colpi di scena: il primo è che la Procura di Roma avvia la macchina della giustizia italiana per processare i marò, segno che la linea del l'innocenza svapora: il secondo è che l'Italia cambia idea e fa ripartire per l'India i due marò. In caso di colpevolezza, dice il Governo italiano, non sarà applicata la pena di morte: circostanza smentita dagli indiani. Insomma: un bel pasticcio, nato e proseguito per una catena di errori, i più gravi compiuti dal Governo tecnico, che pure conta su un Generale alla Difesa e un Ambasciatore agli Esteri. Si tratta di un caso di scuola che mostra come i tecnici debbano rimanere tali e non fare i politici. Ed è quanto, visto l'esito della prova elettorale per Mario Monti e i centristi, pensano gli italiani. E lo penseranno anche i due marò che, colpevoli o innocenti che siano, ora rischiano pure due processi: uno in India e l'altro in Italia. Un "pasticciaccio brutto" che non giova al diritto internazionale.