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23 mar 2013

Orizzonte 2030

di Luciano Caveri

Mi è capitato, ma pensandoci veramente e non come artificio retorico da comizio, di riflettere sull'orizzonte 2030, quando il più piccolo dei miei figli - Alexis - voterà per la prima volta. A meno che, nel frattempo, almeno per le amministrative, non venga abbassato il diritto di voto a sedici anni per controbilanciare il voto sempre più in là negli anni degli anziani soverchianti. Laurent e Eugénie, invece, voteranno, rispettivamente, nel 2014 e nel 2016 e mi sembrano in attesa di capire come vada il mondo con sguardo disincantato e meno speranzoso di quanto avessi io alla loro età, frutto di un'epoca in cui eravamo ancora spinti dalla voglia di vivere del dopoguerra. Così ho pensato a me settantenne (se ci arriverò, beninteso) e alla responsabilità attuale per quel traguardo che è distante e vicino nello stesso tempo e che riguardale generazioni che vengono dopo di noi e che dovranno vivere in una società impostata oggi. So bene quanto immaginare il futuro sia difficile, ma ho sempre apprezzato il lavoro dell'Unione europea, deficitaria e fallimentare nel suo ruolo politica, ma attenta a capire come il mondo cambierà nei decenni a venire. Lavorando a Bruxelles dal 2000 sono a poche settimane fa, ho appreso come - con libri di diverso colore - vanno analizzati in profondità i cambiamenti e come si possa lavorare sugli scenari, sapendo certo che esistono varianti che agiscono per cambiare le previsioni. Quando ho avuto responsabilità politiche in Valle d'Aosta, ho cercato di portare qui questo metodo previsionale, abbandonato, dopo la mia uscita di scena da ruoli di responsabilità di governo locale, da una politica di corto respiro e di vecchia concezione, attenta ad interessi immediati e presa dalla fregola di un potere personalistico, che trasforma la politica in una macchina di clientela e di potere. Manca quella che, con un anglicismo viene chiamata "vision" con una parte di speranze e di sogni. Tutto, invece, è legato alle elezioni e a logiche di ristretti cerchi di fedelissimi - spesso scelti apposta per la mediocrità e obbedienza - e alla costruzione di rapporti che c'entrano poco con i sentimenti che dovrebbero nobilitare la politica,. D'altronde, "Les affaires ne reposent pas sur des sentiments", diceva Honoré de Balzac, che sapeva sondare l'animo umano. Ho letto quel poco che ho potuto su questa mancanza di uno sguardo prospettico nel castelluccio mediocre dell'impianto datosi dalla Valle d'Aosta per il periodo di programmazione europea sino al 2020, la cui impostazione è stata affidata all'ultimo ad un consulente francese ed è frutto di una concertazione modestissima e dunque del tutto corrispondente ad una filosofia di breve respiro. Scelta errata e grave in tempo di crisi e di ristrettezze, quando bisognerebbe fare ragionare l'intera comunità sul suo futuro. Ma questa scelta sarebbe democratica e questo non piace se la logica dev'essere quella dirigistica e non insegue il bene comune ma altre parabole ben meno nobili. Per questo bisogna voltare pagina e ad avere una "mission" (altro anglicismo): guardare al 2030.