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23 gen 2013

Il giusto equilibrio

di Luciano Caveri

Ho cominciato la mia attività politica nel luglio del 1987, quando avevo 28 anni e mezzo, ora ne ho 54 appena compiuti e dunque sono in politica da circa 26 anni. Il mio curriculum qui sopra - non ancora aggiornato con le ultime vicende per mia pigrizia - racconta gli intrecci fra Roma, Bruxelles, Strasburgo, Aosta che risparmio a chi li conosce e per il resto è appunto più facile vedere nella biografia. Nella mia carriera ho avuto la fortuna - e spero talvolta anche il merito - di ricoprire incarichi importanti, che mi hanno consentito di incontrare personalità politiche di diverso orientamento e di tutte le età, compresi molti big italiani ed europei. Questa circostanza mi ha consentito di imparare molto e di mantenere i piedi saldamente a terra, perché più sono bravi e preparati quelli che incontri e più ti rendi conto dei tuoi limiti e dei necessari spazi, laddove possibile, di miglioramento. Oggi, quando guardo alla mia vita nel lavoro, sono contento. Non ho rimpianti particolari e non penso che avrei fatto cose diverse, se potessi tornare indietro e rivivere certi passaggi e avessi l'opzione di scegliere un percorso differente da quello a suo tempo intrapreso. Non sono neppure pentito di avere fatto politica: certo può capitare di baloccarsi su che piega avrebbe preso la mia vita se non fossi entrato in politica. Il giornalismo di fatto l'ho sempre considerato il mio "lavoro vero" e certo qualche pensiero su quante cose belle avrei potuto fare in televisione ce l'ho. Sono riconoscente nei confronti degli elettori che mi hanno votato nelle diverse elezioni e anche alle persone che hanno creduto in me. Qualcuno mi rimprovera di una sorta di ingratitudine verso Augusto Rollandin, che mi "scoprì" in politica quando venni candidato per la prima volta. Il presidente sa bene come, nella dinamica complessiva dei nostri rapporti politici che non riguardano solo me ma anche la mia famiglia e in particolare mio padre, ci assestiamo su un "pari patta" e dunque a questo pareggio mi attengo. Un giorno, se lo farò, scriverò anche di questo e dei nostri rapporti reciproci. Non voglio certo qui - e lo dico ironicamente - svelare gli arcani e neppure annacquare le mie critiche che mi hanno portato alle recenti decisioni. Ciò detto, vorrei dire la mia su questa parola magica che tutti, me compreso, adoperano: "rinnovamento". Pronunciandola, che sia chiaro, non mi sono mai sentito in colpa: anzitutto perché non sono Matusalemme e poi perché penso che il rinnovamento non significhi affatto "terra bruciata" di qualunque forma di accumulazione di esperienza. Non lo dico per chissà quale pensiero futuro per andare nel "posto A" e nel "posto B". Ho sempre pensato che la politica e annessi e connessi potesse finire in qualunque momento del mio cammino, per cui quando ho lasciato certe incarichi l'ho fatto guardando avanti e mai indietro. Anche perché mi è sempre piaciuto fare cose nuove in cui devi ripartire e questo fa lavorare i neuroni e si sa quanto certa ginnastica mentale sia salutare. Per cui fatemi dire, avendo assistito nella mia vita a grandi rivolgimenti in politica e a parabole personali (singoli politici) o collettive (il destino di certi partiti), che per gli esseri umani e per le loro organizzazioni non può essere solo il fattore anagrafico o la durée a fare la differenza. C'è altro, come possiamo imparare, passando del tempo in un asilo o in un ospizio per vedere che non c'è solo l'età perché il comprendonio è senza tempo. E infine l'occupazione della "poltrona" - rappresentazione plastica del potere - significa anche in molti casi aver masticato pane, politica e amministrazione. Questo non può giustificare la gerontocrazia, ma neppure un giovanilismo astratto. Opposti estremismi.