Treinadan
Treinadan!
Non può che cominciare così il 2013, se non con questo tradizionale augurio dei valdostani. Un saluto gioioso, usato per interloquire con parenti e amici, transitato nel francoprovenzale - lingua neolatina - proprio dal latino "strena(m)", "augurio" e "dono augurale", che si usava di solito all'inizio proprio del nuovo anno.
Nel pronunciare questa antica e affettuosa formula benaugurante, attraversiamo, dunque, secoli e secoli di storia valdostana, spesso in maniera inconscia.
Leggevo, giorni fa, su "Twitter" (oggi zeppo di politici di cui in certi casi ho scoperto un'inaspettata vena giornalistico-letteraria), ma non vi ho partecipato, ad una polemica sull'identità valdostana. Ed è bene che se ne discuta perché è un principio capitale e serve anche ad evitare che le posizioni politiche sul tema si assomiglino troppo e questo insospettisce. Molte le considerazioni emerse, com'è ovvio che sia. Mi ha colpito chi considerava la storia come una specie di cascame di cui liberarsi, come se si trattasse di qualcosa di vecchio e ammuffito. Sarò di una formazione culturale diversa, ma troverei inconcepibile l'idea della "tabula rasa" come espressione di modernità e impensabile immaginare il futuro come qualcosa di appeso nel vuoto.
Non si tratta, infatti, di essere nostalgici e passatisti e di non accettare i cambiamenti in corso e quelli che verranno. Chi pensa alla "valdostanità" come qualcosa di immodificabile e sacrale, chiusa in una "turris eburnea" immodificabile e impermeabile, ne fa solo una caricatura. Le cose cambiano e la velocità di trasformazione oggi è ancora più grande che in passato. Ma prendere atto dei cambiamenti, che ci sono sempre stati, non vuol dire - come qualcuno scriveva - buttare a mare un'autonomia speciale che già è cambiata dal 1945 ad oggi, decennio dopo decennio e cambierà ancora, e si tratta semmai di prendere atto di come mutino e si aggiornino le ragioni fondative. Chi invece musealizza l'autonomia e la avvolge di melassa di retorica fa solo un piacere ai tanti e variegati nemici.
Ma intanto quale dono augurarsi? Sarò banale, ma cominciamo dalla salute. Ogni altra attività è impossibile se non si sta bene e come non pensare alle persone che ci hanno lasciati nei mesi scorsi e a chi, gravemente malato, sta combattendo una battaglia per la vita.
Vi è poi una seconda parola, che è "coraggio", che è stata la più usata nei messaggi che ho ricevuto. Si va dalla spinta «coraggio!» per darti la carica all'espressione «avere coraggio», come indicazione rispetto agli ultimi avvenimenti di cui sono coprotagonista e che suscita - altra bella parola in dono - delle «speranze».
L'anno appena iniziato sarà denso di avvenimenti che ci diranno, vivendoli mese dopo mese, se certi auspici si realizzeranno.
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