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27 nov 2012

I partiti in crisi

di Luciano Caveri

Leggete un qualunque giornale francese e vedrete cosa sta capitando. Traggo da "Les Echos": "«Nous pensions que l'on avait atteint le fond de la piscine. Là, nous sommes en train de creuser le fond…». Le constat est de l'ancien ministre Benoist Apparu, proche d'Alain Juppé, devant le nouveau coup de théâtre hier à l'UMP. Un rebondissement qui, quelle qu'en soit l'issue, plonge un peu plus le premier parti d'opposition dans le chaos. Au bord de la scission". Prosegue l'articolo, spiegando il pasticcio in corso: "Hier après-midi, la guerre entre Jean-François Copé et François Fillon a repris de plus belle à l'UMP, avec invectives, pressions, menaces et accusations de fraude réciproques. Coup de tonnerre quand l'équipe de campagne de François Fillon, qui avait "acté" les résultats du scrutin du 18 novembre pour la présidence de l'UMP, a contesté les chiffres de la commission de contrôle des opérations électorales". Per chi non avesse seguito: i due si sfidano per la presidenza dell'UMP ("Union pour un Mouvement Populaire") che deve scegliere chi guiderà la Destra francese nel "dopo Sarkozy". Vince Coppé, ma Fillon - che tra l'altro conosco di persona - scopre che si sono dimenticati di contare di voti provenienti dai territoires d'Outremer che lo farebbero vincere. Rinuncia alla vittoria, ma chiede che a guidare il partito sia una terza persona Alain Juppé. Perché racconto questa storia francese? Per la semplice constatazione di quanto i partiti siano in crisi. Basta vedere certe derive che si stanno manifestando nelle primarie del centrosinistra in Italia e chi in pubblico esalta la grande democrazia della sfida, in privato dimostra cautele sugli esiti e sulle fratture che deriveranno dai toni sempre più forti usati dal trio dei contendenti più forti: Pierluigi Bersani, Matteo Renzi e Nichi Vendola che su diversi punti paiono appartenere a schieramenti diametralmente opposti. Cosa avverrà dopo? E anche nel centrodestra non c'è da sorridere: una decina di candidati eterogenei corrono per le primarie, se ci saranno, perché potrebbe anche essere che alla fine Silvio Berlusconi rispunti o metta sul tavolo un suo candidato. Fibrillazioni da paura. Potrei proseguire con altri esempi europei o italiani per mostrare come i partiti stentino oggi a reggere quel ruolo di snodo che avevano assunto nella democrazia contemporanea. Le querelle e le incomprensioni, con nascite e morti di partiti e movimenti, ci sono sempre state e basta vedere cosa è capitato in Valle dal dopoguerra ad oggi per capirlo, ma questa volta c'è qualcosa di generalizzato e di profondo che mina ruolo e identità dei partiti tradizionali, che sembrano aver perso meccanismi funzionanti di partecipazione e di confronto interno. Noto problemi anche nel mio Movimento, l'Union Valdôtaine, in cui mi riconosco da ragazzino e non solo per ragioni familiari ben note. L'UV appartiene alle categoria dei "partiti di raccolta", cioè aggregazioni ancora più problematiche perché legate ad un serie di principi fondanti che si rifanno a questioni identitarie e territoriali che poi sfociano in una originale scelta - nel panorama politico italiano - di idee federaliste. Ma i meccanismi di governo del movimento, copiati dal vecchio Partito Comunista, assieme a vecchi problemi di rapporti di forza fra chi governa pro tempore in Regione e il peso e l'autonomia della forza politica, creano nell'Union problemi mica da ridere nella dialettica interna, in quel quadro evocato sopra di partiti alla ricerca di una nuova identità e di nuove forme di organizzazione che corrispondano ad un mondo diverso da quello del passato. L'ho visto sul recente referendum sui rifiuti: ci sono stati commenti e valutazioni "esterne" in cui sono dette certe cose, mentre all'interno si sta giocando una sorta di regolamento di conti verso chi, me compreso, ha posto in quelle ore per scritto al presidente del Movimento alcuni problemi di democrazia interna su un argomento diverso dal referendum. In sostanza c'è chi addebita a questa lettera, su cui non mi addentro perché è nel "Calepin", l'esito del referendum! Strano ma vero e questo è esempio, nel piccolo, dei grandi problemi dei partiti in crisi e delle strutture ormai sclerotizzate che non riescono a corrispondere alla democrazia odierna, che non può essere affatto il «liberi tutti!» ma neppure le pratiche da caserma. E pensare che una democrazia senza partiti resta inconcepibile.