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11 ott 2012

Dietro la "désarpa"

di Luciano Caveri

Ho trovato molto simpatica la "désarpa" (la discesa delle mandrie dall'alpeggio estivo) che ieri ha animato il centro d'Aosta. Molto naïf e priva di certe presunzioni intellettuali del passato, segno che chi se ne occupa oggi conosce il mondo contadino e evita di volerlo filtrare attraverso chiavi che finivano per indebolire il messaggio nella sua essenzialità. La festa popolare è riuscita ed è certamente più "grand public" di quanto siano le pur apprezzabilissime "reines" con l'imminente finalissima della Croix Noire. Certo la sfilata del bestiame che scende dagli alpeggi oggi colpisce molto, mentre ancora qualche decina di anni fa non sarebbe stata al centro di una manifestazione. Per la semplice ragione che la società valdostana del passato era fortemente rurale e il bestiame faceva parte del paesaggio quotidiano, specie per la miriade di piccole stalle che si trovavano in tutta la Regione. Non si rappresenta mai quanto è troppo familiare. Poi la situazione si è bruscamente invertita: le stalle sono cresciute di dimensione, inseguendo in parte modelli esterni con l'accortezza da noi, diversamente da altre zone alpine, di salvaguardare le antiche razze autoctone. Ma il gigantismo si è manifestato in certi casi e si discute sempre più se non valga la pena di dire che, in una logica di pluriattività, anche il «piccolo è bello», se integrato con altro e non è obbligatoriamente una diseconomia. Pensando anche ai costi ambientali delle stalle molto grandi. Se guardiamo l'ultimo censimento generale dell'Istat di due anni fa si ricavano alcuni dati. Diminuiscono le aziende zootecniche bovine: nel 2000 erano 1586, nel 2010 erano scese a 1.176. I bovini calano da 38.888 a 32.953, così come calano gli ettari complessivi dei prati permanenti e dei pascoli. Soffrono maggiormente le stalle piccolissime, piccole e medie, che ospitano da uno a 19 animali, calano le stalle da venti a 49 animali che restano quantitativamente le stalle più numerose, mentre le stalle che vanno da cinquanta a 99 bovini e oltre diminuiscono di numero ma con una maggior stabilità. La media delle stalle è salita nel 2010 a oltre 28 capi per stalla rispetto ai poco più di 24 di dieci anni prima. Tutto ciò mentre si attendono certezze soprattutto sulle famose indennità compensative che l'Europa dovrà garantire all'agricoltura montana con la nuova "Pac - Politica agricola comune". Oggi l'insieme dei fondi comunitari è ancora avvolto, in piena crisi economica e con un Parlamento europeo che batte i pugni contro lo strapotere del Consiglio, da molte incertezze. Comunque sia pian piano la logica di mercato obbligherà ad affrontare tempi difficili, pensando che anche la capacità di spesa della Regione sta diminuendo drasticamente e l'agricoltura ha crescenti problemi con le manie di Bruxelles di irrigidire le maglie degli aiuti pubblici sotto varia forma (gli Stati Uniti certi problemi non se li pongono). Ecco perché bisogna che le zone di montagne ottengano uno status preciso nella logica delle politiche di coesione territoriale, proprio per evitare che ci si debba ogni volta inginocchiare di fronte ai funzionari europei per ottenere quanto invece è dovuto. Sapendo che questa logica della trattativa continua, della deroga che pare essere un piacere, della fatica di dover portare cumuli di carte anche per la più banale eccezione può sortire risultati utili nel breve ma fragilizza la prospettiva. Se esistesse una base giuridica che affermi la situazione particolare per l'economia montana questo fisserebbe una volta per tutte un quadro certo per evitare di dover, sempre e in diversi settori, dover spiegare il perché della particolarità che deve essere riconosciuta, oggi volta per volta, alle zone montane. Certo se mai ci togliessero l'autonomia speciale e gli spazi più vasti di dialogo con Bruxelles indispensabili per la "nostra" agricoltura, allora prepariamoci alla "désarpa" come rievocazione storica in maschera e mai più nella realtà. L'autonomia del folklore.