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30 set 2012

È anzitutto una questione morale

di Luciano Caveri

Ho conosciuto in poche occasioni ufficiali la ex presidente Renata Polverini, una donna appariscente dai modi spicci, sempre accompagnata da uno stuolo di collaboratori adoranti. Era anche membro titolare del "Comitato delle Regioni" - dove sono capodelegazione - ma a Bruxelles non è mai venuta. Era di quei politici che aveva capito che bisogna stare a presidiare la "Sagra della porchetta" o la festa del santo protettore di ciascun paese del Lazio: quello permette di accumulare i voti di preferenza. Chi passa il tempo a lavorare, anche a Bruxelles, rischia di apparire come uno snob e persino un fesso rispetto ad una Polverini "de'noantri" ("una di noi", in romanesco). Questa donna determinata fa parte di quel gruppo di esponenti di estrema destra sdoganati da Silvio Berlusconi nel Popolo della Libertà. Non avevano mai visto il potere vero, nella logica della "conventio ad escludendum" degli ex fascisti, caduta per il trascorrere del tempo e anche per il loro annacquare il vino delle nostalgie del Ventennio. Così si sono trovati delle poltrone comode e ne hanno scoperto vantaggi e, col tempo, gli svantaggi. Il "boia chi molla" della loro giovinezza («Giovinezza, giovinezza...») si è applicato al potere e piuttosto di allontanarsi dalla "stanza dei bottoni" sono pronti a tutti i compromessi e a digerire qualunque accordo. Ma questa volta la Polverini non ce l'ha fatta e ha dovuto arrendersi non tanto alle nefandezze di chi ha trafficato e rubato soldi pubblici, quanto alla guerra fra bande del centrodestra romano e laziale. Un ambientino di cui conosco alcuni esponenti per le antiche frequentazioni romane e non è un caso se questa guerra fra bande nel PdL rischia di trascinare chissà dove il partito di Berlusconi. Il Cavaliere ha capito il clima e si accinge dappertutto a pensionare chi da troppo tempo è in politica per chiudere con certe camarille e tentare di riprendere consensi in caduta libera. Se c'è una morale nelle cose è proprio "la morale", intesa come regole di comportamento non imposte che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di chi fa politica per distinguere il bene dal male, allontanando in automatico chi attirato solo da traffici e soldi. Mentre oggi spregiudicatezza e talvolta anche incultura sembrano biglietti da visita utili per far carriera: la colpa sarà certo dei politici protagonisti di certe vicende, ma anche dei cittadini che li votano.