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02 set 2012

Ricordare per non dimenticare

di Luciano Caveri

Il prossimo anno, il 28 febbraio, data simbolo della nostra Regione dopo l'abolizione di fatto della "Festa della Valle d'Aosta", si ricorderanno i 65 anni dello Statuto d'autonomia. Festeggiamento utile, ma dalla profondità storica risibile per la storia millenaria della Valle, su cui è bene fare mente locale e la Festa serviva ad "agganciare" la storia contemporanea a tutto quanto c'era stato prima, che non è mai da dimenticare. Si tratta, comunque, di una celebrazione utile quella dello Statuto, che avverrà a  pochi mesi dalle prossime elezioni regionali e forse in piena campagna elettorale per le politiche. Occasione per discutere del nostro ordinamento attuale e soprattutto del clima attuale - greve e ostile - che circonda le autonomie speciali. Trovo singolare dei giochi della Storia, che nei suoi percorsi somiglia ogni tanto ai passaggi contorti e spiazzanti di un dedalo in cui ci si perde, che i valdostani - o almeno una parte di essi - si trovino a difendere quell'autonomia speciale che allora, all'epoca dell'emanazione dello Statuto, venne considerata poca cosa rispetto alle speranze maturate negli anni precedenti, specie nelle proposte emerse nel dibattito qui in Valle e poi annacquate alla Costituente. E comunque così è: lo Statuto "imperfetto" e migliorato un poco con alcune modifiche di cui sono stato autore materiale è sempre più - fallita la prospettiva di un federalismo per tutti - una sorta di ancora di salvataggio nel mare agitato in cui la "nave Italia" sta andando alla deriva. Lo dico conoscendo i limiti strutturali dello Statuto, le sue parti disattese e le "invasioni di campo" delle funzioni e competenze di fonte europea e nazionale. E lo dico anche conoscendo errori passati e presenti nell'interpretazione che noi stessi abbiamo dato della nostra autonomia. Dobbiamo essere lucidi e crudi anche in questa analisi. Le norme statutarie, che comprendono le norme d'attuazione, sono materia vivente che ha agito differentemente nel clima politico lungo i decenni successivi alla sua entrata in vigore. Mi è capitato in conferenze di vario genere di cercare di rendere comprensibile questa materia, che è frutto giuridico dell'intrico di passioni che la "questione valdostana" suscitò dopo il fascismo e che oggi troppo spesso nella pubblicistica italiana viene banalizzata o derisa.  L'autonomia speciale va difesa: l'ho fatto nel mio percorso politico, cercando spazi nuovi, dopo essermi convinto che solo un'"autonomia dinamica" - in continuo movimento nel dibattito interno e con le istituzioni "esterne" - può avere un reale significato. E' con dispiacere che prendo atto che il clima attorno a noi ha impedito una riscrittura dello Statuto per adeguarlo ai tempi. Da Presidente della Regione proposi una "Convenzione" a carattere costituente che non arrivò a conclusioni davvero modificative non perché mancassero idee o proposte, fra regionalismo e federalismo, ma perché per toccare lo Statuto ci vuole un presupposto.  Questo presupposto è il principio dell'intesa, che eviti che un testo approvato dal Consiglio Valle finisca al Parlamento, che lo deve approvare con la procedura rinforzata di una legge costituzionale, e corra il rischio - senza un placet finale della Regione stessa - di essere svuotato o stravolto nel corso dell'iter alle Camere. Specie in momenti come questi, in cui buona parte potere politico e amministrativo centrale considera, con aiuto di giornalisti e professori, la diversità delle "speciali" come un'anomalia da sopprimere nel quadro di un generale ridimensionamento dei poteri locali. Il modello è riaffermare uno Stato centralista, che resiste solo più nei Paesi variamente autoritari, ma questo in questa fase sembra importare poco, Una deriva terribile e stupida, accarezzata da "poteri forti" di varia fatta e che è difficile contrastare perché in fondo larga parte dell'opinione pubblica è ormai schifata da politica e distante dalle istituzioni e pronta - anche con l'indifferenza e non solo con l'indignazione - alla soluzione di un "uomo forte" che tutto aggiusti. Una soluzione salvifica a causa di una democrazia malata e poco conta che questo comporti un cieco effetto distruttore: non sarebbe la prima e l'ultima volta che la democrazia cannibalizza sé stessa e lo farebbe questa volta in un misto statalismo-nazionalismo letale per le autonomie speciali e per ogni altra istituzione locale. Roma, simbolo dolente e inefficace della democrazia italiana, rivuole il suo potere e poco conta che questo sia anacronistico e ridicolo. Si tratta di una scelta calcolata che approfitta del vento dell'Indignazione contro la politica e di quello della paura della crisi economica. Ce n'è di cui riflettere ampliamente nei mesi a venire in vista delle celebrazioni dell"autonomia.