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05 set 2012

Settembre inquieto

di Luciano Caveri

Settembre è un mese strano. Lo è per un primo dato oggettivo: dopo agosto, che resta un mese di libertà più o meno lungo rispetto alla routine del resto dell'anno, la ripresa settembrina (classica l'espressione «ne riparliamo alla ripresa») è un punto a capo in cui tocca fare delle scelte ben più di quanto avvenga a inizio anno, dopo le rapide e ormai sfilacciate vacanze natalizie. Lo è poi per le generazioni come la mia, visto che fu una legge dell'agosto del 1977 a togliere quel fatidico 1° ottobre come "primo giorno di scuola", che consentiva di godere la dolcezza del mese di settembre a noi studenti d'allora, malgrado - se si era stati vittime - degli "esami di riparazione". Questo è un caso di scuola di quanto sia inutile ma rassicurante avere dei rimpianti. Questo settembre 2012 non è per nulla banale, perché si sommano molti elementi contingenti che lo rendono a maggior ragione indeterminato. Per molti aspetti vale il motto latino "Hic sunt leones", (tradotto "Qui ci sono i leoni"), espressione usata sulle carte geografiche dell'antico impero romano in corrispondenza delle zone inesplorate dell'Africa e dell'Asia. La frase stava ad indicare che non si sapeva nulla a parte il fatto che in quelle zone sconosciute ci fossero i temibili felini. Così in fondo avviene in questo mese di settembre pieno di paure e incertezze da qualunque angolatura si veda la situazione e nell'interrogarsi reciproco capita di aver voglia di dire che - maledizione! - non si hanno certezze perché "Hic sunt leones". Gli stati d'animo personali e i timori collettivi sono evidenti e si sa quanto pesino sui meccanismi sociali. Settembre dunque ricalca e accentua quanto c'era già prima delle vacanze con l'economia che arretra e gli esiti non sono solo i dati astratti di Borsa ma storie umane della disoccupazione crescente. E la politica - compresa quella dei tecnici - sembra destinata ad essere in incomprensibile: che siano le vicende siriane, le elezioni americane, la debolezza dell'Europa come esempi di quanto avviene ad alti livelli. E poi si scende, con mille esempi possibili che creano scoraggiamento, a quest'Italia dolente e sfiduciata. Si illude chi pensa che queste circostanze qui in Valle d'Aosta non ci siano. Non lo dico per incoraggiare certi inutili giochini maggioranza-opposizione o riferendomi a quella che i "soliti noti" considerano come la "battaglia di Stalingrado del pirogassificatore", perché la crisi della rappresentanza politica anche in seno alla nostra autonomia è argomento più serio, come lo sono le scelte, i modelli, le speranze che dovrebbero essere al centro della prossima campagna elettorale per le elezioni regionali con il precedente passaggio - per nulla banale - delle elezioni politiche. Se il tutto si risolverà in lotte all'arma bianca per le candidature e in cavillosi accordi per i giochi delle preferenze, allora sfugge l'incrocio di  emergenze in cui anche la Valle d'Aosta - il cui simbolo araldico è un... leone - si trova.