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15 ago 2012

Povere minoranze

di Luciano Caveri

Mi chiama questa mattina, per un'intervista, "Radio Beckwith" dalla Val Pellice, per parlarmi dell’ultimo scherzetto della "spending review", un "pozzo di San Patrizio" di scempiaggini centraliste. Il "casus belli" riguarda le minoranze linguistiche ed un'interpretazione balzana e pericolosa che emerge nel decreto convertito in legge, in una parte che riguarda - ma il caso specifico poco conta - il dimensionamento dei plessi scolastici nelle zone dove si registrano "specificità linguistiche", come diceva un decreto legge di un annetto fa. Ora il legislatore, in barba alla legislazione vigente sulle minoranze linguistiche, dice che per "specificità linguistiche si intendono quelle nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera". La relazione tecnica al decreto è un delirio, che sostiene testualmente: "l'interpretazione della norma si rende opportuna perché alcune Regioni estendono il significato di "specificità linguistica" anche a territori dove si parla un particolare dialetto utilizzando la legge 482 del 1999 relativo alle norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche tra cui il friulano, l'occitano e il sardo". Peccato che la legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche del 1999 non parli affatto di dialetti e sia la diretta applicazione dell'articolo 6 della Costituzione, che recita: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. Per cui chi ne limita la portata compie un evidente atto incostituzionale, che sarà facilmente risolto dalla Corte costituzionale, ma che indica tristemente l'aria dei tempi in cui a diventare antipatiche sono anche - in barba ai principi costituzionali - le minoranze linguistiche, specie con questa precisazione risibile della "lingua madre straniera". Certo per il nostro francese non ci sono problemi anche per il radicamento con legge costituzionale del nostro Statuto d'autonomia e lo stesso vale per i walser valdostani e le loro parlate germanofone. Ma certo l'interpretazione eccentrica della norma, che trasforma sua sponte lingue storiche di minoranza, rischia in prospettiva di svilire proprio lingue autoctone come il nostro patois, che tra l'altro otterrebbe un maggior riconoscimento - senza alcuna contrapposizione con il francese - attraverso le norme d'attuazione che giacciono ormai da troppo tempo nell'anticamera del Consiglio dei Ministri. Pensate che il Consiglio Valle diede parere nell'ottobre del 2011 sullo schema di decreto sull'ordinamento linguistico da allora inspiegabilmente "scomparso" a Palazzo Chigi. Palazzo ormai assorbito da una logica centralistica senza eguale nel dopoguerra e che sembra non sapere - in materia di minoranze - di aver presentato un disegno di legge alle Camere per ratificare quella "Carta europea delle lingue regionali o minoritarie" del Consiglio d'Europa, che risale purtroppo al 1992, e che riconosce tutte quelle lingue "squalificate" nel recente provvedimento. Circostanza che si commenta da sola e che apre uno spaccato inquietante sulla deriva legata alla filosofia "tagli e sacrifici", che sembra avanzare come un panzer rispetto a valori costituzionali e ad aspetti fondamentali del diritto internazionale.