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30 lug 2012

Nel bene e nel male

di Luciano Caveri

I miei ruoli attuali non riversano su di me troppe storie piacevoli, dolorose o problematiche che siano. Per molti anni, invece, è stato così. Non in una logica clientelare, che chi mi conosce sa non appartenermi, ma perché chi riveste un ruolo pubblico diventa per i cittadini un punto di riferimento nel bene e nel male ed è giusto che sia così. Mi è capitato di dire che talvolta sono stato una sorta di "difensore civico", magari in impenetrabili uffici romani, per pratiche pensionistiche, per imprese con problemi specifici, per giovani di leva spediti a Canicattì, per la lettura di una norma di difficile comprensione per i professionisti e via di questo passo. Non mi riferisco all’attività legislativa in difesa della Valle o di qualche problema specifico, che era altra attività, forse più tecnica ma altrettanto avvincente. Ho già scritto che, quando racconto di quanta soddisfazione materiale dia una norma scritta bene, mi guardano come si guarda un marziano. Nel bene è appunto quando a chiederti consigli sono studenti delle superiori che ti incontrano per un consiglio per l'Università o studenti universitari - capita spesso ancora oggi - che vogliono un "aiuto tecnico" per la loro tesi oppure quando qualche sindaco chiedeva suggerimenti per risolvere un problema concreto. Poi c'erano le bizzarrie, tipo quando alla tabaccheria di Montecitorio si potevano acquistare le "Nazionali senza filtro" - pacchetto bianco, e avevo diritto a comprare una stecca alla settimana - introvabili altrove, perché inserite nel paniere della "contingenza", e mi trovavo "vecchietti tossici" che venivano nel mio ufficio a prendere un pacchetto (ovviamente gratis) delle "loro" amate e catramate sigarette. Idem per i sigari toscani, secondo la leggenda metropolitana che alla Camera fossero "più buoni". Il male, invece, non fa per nulla sorridere: sono le tristezze della vita, come la povertà, la mancanza di lavoro, le separazioni dolorose, i figli disabili. Purtroppo anche la follia di chi voleva incontrarti e in realtà non aveva niente da dirti, ma forse il solo parlarti aveva un effetto placebo. Non avrei mai potuto fare il medico, perché ho sempre pensato che avrei portato con me i problemi di salute dei pazienti e poi da politico mi sono trovato in condizioni simili, quando ti trovavi di fronte alla tua impotenza e di fronte al loro dispiacere della tua impossibilità di risolvere questioni senza via d'uscita o che non erano per nulla nelle mie possibilità. In fondo nel politico - e c'è chi ci gioca pesantemente con le promesse o anche con squallido "do ut des" - esiste ancora un'aspettativa atavica del "tocco del re" taumaturgo, quell'illusione che bastasse essere sfiorati dal sovrano di turno per guarire ad esempio dalla "scrofolosi" (oggi nota come "adenite tubercolare"). Nulla a che fare con la cittadinanza consapevole e con la coscienza - cui mi sono sempre attenuto - dei doveri dell'eletto. Ripeto: "doveri".