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29 giu 2012

A proposito della Germania

di Luciano Caveri

Ancora poche settimane fa, per il mio rapporto sui cambiamenti climatici nelle zone di montagna che verrà approvato giovedì in Commissione, ho dovuto bisticciare con un collega tedesco. A lui, che ha un ruolo rilevante nel suo Gruppo politico al Comitato delle Regioni, la mia proposta di trattare questo tema non è piaciuta sin dall'inizio e mi ha messo i bastoni fra le ruote. Io ho pazientato, ho accettato in un incontro faccia a faccia qualche modifica al testo e poi me lo sono ritrovato in una seduta di Commissione di nuovo contro con un inammissibile e sgradevole tono da maestrino con il suo allievo. Allora sono passato dal fioretto alla spada e ho difeso con decisione, in una seduta di Commissione, le mie ragioni, dicendogli quel che gli veniva e da allora non mi saluta più. Direte voi: un maleducato capita e bisogna metterlo in conto. Verissimo, ma non era la prima volta. Quando al Parlamento europeo iniziai a presiedere la Commissione Trasporti e Politica Regionale - ero il più giovane dei Presidenti di Commissione - un collega tedesco assai autorevole non perdeva occasione per mostrare un tono supponente e usare delle battutine per vedere fino a che punto fossi un italiano un pochino fesso. Anche in quel caso pazientai per qualche seduta, per vedere se gli passava, e poi iniziai a rispondere a tono sino a quando diventammo amici. In questi dieci anni in Europa ho verificato di persona questo atteggiamento di superiorità dei tedeschi è andato in crescendo ed è stato agevolato da un'astuta politica di occupazione di ruoli cardine e dalla forza di un'economia forte dopo la riunificazione seguita alla caduta del muro di Berlino. Passato i complessi derivanti dalle vicende della Seconda Guerra mondiale e dalle colpe collettive che gravavano sul popolo tedesco, ora mostrano - e potrei moltiplicare gli esempi - una crescente tracotanza su cui è bene vigilare. Io ho sempre avuto in casa un antidoto ed erano i racconti di ordinaria follia dei comportamenti dei tedeschi nei campi di concentramento dove finì mio padre, che raccontava di una mancanza di umanità nei lager che lo lasciava di stucco ancora decenni dopo, come un ferita aperta. Lo scrivo pensando ad Angela Merkel, cancelliera tedesca, che ieri - per l'ennesima volta - ha fatto crollare le Borse per la ripetizione del solito refrain: "no eurobond, nessuno sconto alla Grecia". Lo ha fatto con malagrazia e nei tempi e nei modi sbagliati, ma non è una novità e questo isolamento in cui costringe la Germania le tornerà indietro con gli interessi. Ma intanto l'Europa penzola nel vuoto di un baratro e il nazionalismo tedesco non aiuta, anzi fa venire in mente i problemi ciclici che i tedeschi hanno posto agli altri e le due guerre mondiali del Novecento sono scritte nei libri di Storia come un ammonimento grazie ai vincitori contro l'imperialismo germanico. Non sarà elegante ricordarlo, ma quando ci vuole ci vuole e non sono circostanze risibili come la prossima sfida calcistica.