Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
16 mag 2012

Un libro che stimola i ricordi

di Luciano Caveri

In questo sabato mi fa piacere segnalare un libro, letto in un'andata e ritorno di una tratta aerea. Si tratta, quello di tuffarsi nella lettura, di uno dei metodi per riempire i momenti, perché le pagine di un libro possono assorbirti e farti viaggiare nel tempo e nello spazio. E' il secondo libro che leggo del grande cantautore appenninico Francesco Guccini, che ho avuto modo di ascoltare in concerto e i suoi dischi - perché c'erano i dischi o al massimo le cassettine - hanno allietato la mia giovinezza con le sue canzoni-poesie. Anche quelle più tristi ("lunga e diritta correva la strada..." o "ad Auschwitz c'era la neve") non nascondevano il suo animo giocoso. La prima volta che l'ho visto, a una "Festa dell'Unità" non ricordo dove, alternava canzoni a chiacchiere opportunamente "bagnate" da buon vino. Ora, dopo una sua biografia illuminante della sua vita, arriva questo libro "Dizionario delle cose perdute", edito da "Mondadori". Guccini è più vecchio di me e certi ricordi lo dimostrano: io non ho visto in azione i carbonai e i cantastorie, la ghiacciaia e i taxi prima di quelli gialli. Ma molti dei capitoletti del libro, che mostrano quella verve emiliana e una bella dose di autoironia, sono stati per me un salto nel passato. Genere: io mi ricordo benissimo delle biglie di vetro (e anche quelle di plastica con piste monumentali in spiaggia) e dei giochi coi tappi a corona, del "Flit" («ammazza la nonna col "Flit", se non ci riesci col gas») e del gioco chiamato "pulce", che consisteva nel far saltare pezzettini di plastica colorata. Allora mi industriavo con costruzioni astruse con il "Meccano" e metto poco a immaginarmi le interminabili partite a "Shangai" o a dama nella casa di montagna di zia Eugenia a Pila. Da bambino mi ero dotato anch'io di varie forme di cerbottana e ricordo una bellissima fionda comprata nel negozio "Caccia e Pesca" di Verrès. In giro in bicicletta per il paese ero sempre "armato" anche quando mi spingevo fino a Issogne a "rubare" le ciliegie. Come Guccini ho fumato la prima volta al cinema orrende sigarette al mentolo (sarà per quello che non ho mai avuto il vizio del fumo...) e ricordo benissimo i treni diesel noti come "Littorina", cui potrei aggiungere - era il treno delle ore 12.20 in partenza da Aosta - le incredibili carrozze liberty del treno "accelerato" che era sempre fermo in stazioni oggi dismesse. Ho chiaro ricordo delle vecchie e minacciose siringhe brandite da mio padre veterinario in caso di malattia (la sua battuta era «ho due figli asini e perciò li curo io»), così come condivido il monumentale telefono di bachelite nera e i banchi in legno delle elementari con i bidelli che mettevano l'inchiostro nei calamai e anch'io alle medie avevo banchetti in metallo con il ripiano verdolino. Conosco tutti i giochi cui giocava Guccini da bambino, compresi i carrettini, che lui chiama carriolini, con cui rischiavamo la vita lungo la strada in discesa a Castelvecchio d'Imperia con i miei cugini (in Valle diconsi tsarettoun). Rimpiango anch'io la figura della lattaia e ricordo il caffè con la vecchina, forse di cicoria, della nonna materna, una marchigiana - Ines Luzietti - tutta d'un pezzo. Non ho fatto la naia, ma gli accurati racconti di Guccini coincidono con quelli degli amici che l'hanno fatta e, pur con un décalage anagrafico, mi ritrovo nella storia dei locali da ballo e delle feste private, nel mio caso la "prova del nove" era in discoteca - tipo "Galion" di Champoluc - al momento cruciale dei "lenti", quando avvicinavi la turista di turno. La vita è fatta così: ricordi che spariscono nei flutti degli avvenimenti, rispuntando poi chissà da dove per raccontarti di un mondo che è sparito nel vortice degli incredibili cambiamenti che hanno investito le nostre generazioni.