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19 apr 2012

A proposito dei cambiamenti

di Luciano Caveri

Il mondo non si ferma e non mi stupisco che i cognomi calabresi siano ormai i più diffusi, come concentrazione, nella città di Aosta a detrimento degli antichi cognomi valdostani. Questa è la conseguenza di ondate migratorie che hanno interessato la Capitale della Valle e altri Comuni della Regione. Chi ha scritto la storia di questa migrazione - io stesso alla Presidenza avevo patrocinato un libro sull'emigrazione calabrese - ha ripercorso la storia di questi spostamenti così significativi da incidere in profondità sulle caratteristiche sociali ed umane della comunità valdostana.

Altre migrazioni avevano, fra Ottocento e Novecento, inciso sulla popolazione autoctona, come piemontesi e veneti, ma altre comunità come friulani e sardi sono state tutt'altro che marginali. Si potrebbe giocare con i se con i ma, tuttavia l'esercizio sarebbe sterile e, preso atto dei cambiamenti, bisogna solo interrogarsi sull'identità valdostana di oggi e su quello che verrà. Sappiamo bene che l'integrazione è, specie più crescono i numeri, un processo di scambio reciproco da cui emerge una cultura in continua trasformazione e con nuovi tratti distintivi diversi e nuovi rispetto a quelli precedenti. Quel che mi sento di dire - non riaffrontando più il tema delle infiltrazioni mafiose che richiedono solo una mappatura e uno svelamento da chi di dovere - è che in generale le trasformazioni avvengono ed come tali vanno accettate senza mai piangere sul latte versato. Io penso che essere valdostani non è uno stato congelato per sempre, con una logica passatista, ma si tratta ogni volta di porre i valori fondativi e condivisi al centro della convivenza nella comunità in cambiamento. Oggi mi sento di dire che esiste un patrimonio comune forte, ad esempio attorno all'autonomia speciale, come argomento che deve fare da collante del processo dell'integrazione in atto. Si tratta di una "valdostanità costituzionale" che assembla e non divide, pur nella pluralità di idee e di pensieri che fanno crescere tutti nel dibattito su che cosa siamo e che cosa vogliamo diventare. Più difficile è capire come muoversi con la nuova immigrazione che arriva dai Paesi "in via di sviluppo" per usare una definizione politicamente corretta, che spazia e riguarda Paesi molto diversi fra di loro nel nostro e in altri Continenti. E' questa una sfida per la mia e per le prossime generazioni. La storia antichissima e già stata fatta da questo battito vitale fra chi c'era e chi arrivava. Stupirsene oggi, pur nei ritmi più rapidi dei cambiamenti, non serve a niente, ma bisogna lavorare assieme per un popolo che muta.