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06 feb 2012

I nue nodi europei

di Luciano Caveri

In tempi di crisi l’integrazione europea oscilla fra la necessità di fare fronte comune per evitare il peggio e la tentazione di ogni Paese di farsi i fatti propri. Il compromesso fra due posizioni così distanti è un equilibrismo quasi impossibile, che crea – come il celebre asino di Buridano, indeciso fra il bere e il mangiare e morto infine di fame – una situazione di paralisi, quando invece l’azione rapida risulterebbe essere decisiva. Ci riflettevo in partenza per Bruxelles, dove – dopo una certa pausa consueta nel mese di gennaio – riprende a pieno ritmo il lavoro del Comitato delle Regioni di cui sono membro. In assenza di un parlamentare europeo, è questo l’unico osservatorio politico di cui goda la Valle d’Aosta e cerco di farlo al meglio, malgrado ci sia chi cerca di mantenere piuttosto oscuro questo lavoro, come dimostrato dalla pletora di convegni locali su materie che tratto da anni, a cui regolarmente non sono invitato. Ma, non avendo la sindrome della “conventio ad escludendum”, cerco di svolgere con impegno la mia attività. Ho imparato che questo conta e non il lavorio di “chi rema contro” o dei “giullari di corte” a diversi livelli.

Non si può comunque negare che, al di là del lavoro sulla stabilità economica, che resta assillante per evitare un effetto domino che avrebbe conseguenze tremende sull’Unione europea, quel che resta ancora interminato è una coppia di questioni che si tengono assieme. A Bruxelles, specie nel lavoro della Commissione ma anche nelle lentezze e nei veti incrociati del Consiglio europeo, si rimarca sempre un deficit democratico. I politici sono assenti su grandi dossier e questa’assenza implica decisioni troppo spesso imposte dall’alto, che creano poi litigi e incomprensioni che minano il processo europeo. Chi plaude al Governo italiano dei tecnici come soluzione per sempre, dovrebbe fare la tara e guardare, laddove la tecnocrazia ha sorpassato la politica, quali esisti ci siano stati. Questo raffredderebbe molti entusiasmi, pur riconoscendo per primo limiti e carenze dei politici europei. Il secondo argomento, che resta purtroppo centrale per il futuro della Valle, è quanto risulti ancora troppo limitato il peso delle Regioni nel processo di formazione della volontà legislativa europea e della pletora di normative di tipo tecnico. Parlo naturalmente di tutto quanto incidente concretamente su poteri e competenze che il nostro Statuto assegna alla Regione autonoma. E la richiesta di contare di più non è dunque un’astratta richiesta di esserci, ma è una tutela diretta dei nostri diritti storici e dello sviluppo del nostro particolare ordinamento. So quanto temi come questi scaldino poco i cuori, specie in un’epoca di difficoltà in cui ognuno si concentra sul proprio “particolare” perché bisogna sbarcare il lunario e affrontare le emergenze. Ma uno sguardo più vasto, collettivo e non personale, resta sempre essenziale per avere un’autonomia speciale sentita e partecipata. Altrimenti certi vuoti li riempiono altri e non ci si potrà lamentare di questo.