Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
31 gen 2012

Cogne, dieci anni fa

di Luciano Caveri

Sono passati dieci anni dal "delitto di Cogne", il caso di cronaca nera che, a dispetto alla fine di una certa banalità, fu allora e per molto tempo un clamoroso caso nazionale. Ciò avvenne per l'incredibile pressione mediatica, che fece montare la vicenda al di là di ogni ragionevolezza con un danno di immagine per Cogne e la Valle, associati al delitto ed a quel clima "noir" che venne creato ad arte per "pompare" la storia.

Dovendo cominciare dalla fine, i fatti sono così riassumibili nella ricostruzione della Cassazione, che stabilì la condanna definitiva. Annamaria Franzoni, allora trentenne, uccise con «razionale lucidità» il figlioletto Samuele Lorenzi, di tre anni e due mesi, la mattina del 30 gennaio del 2002, nella celebre villetta di Cogne. Ricordo, tra parentesi, come in ambito locale la diffusione della notizia fu facilitata dai due giorni della Sant'Orso e anche dalla ricostruzione iniziale da cui derivava una parte di vittima per la mamma, poi dimostratasi, invece, l'assassina. La Cassazione sottolineò, con la sentenza 31.456, nelle motivazioni per confermare la condanna a sedici anni di reclusione nei confronti della giovane donna, le ragioni della fondatezza delle accuse. Scrivevano, infatti, i giudici che «una volta dimostrato l'assoluta implausibilità dell'ingresso di un estraneo nell'abitazione e la materiale impossibilità che costui possa avere agito nel ristrettissimo spazio di tempo a sua disposizione, e una volta esclusa, come esplicitamente fa la sentenza di merito, ogni responsabilità da parte del marito dell'imputata e del figlio Davide, unica realistica e necessitata alternativa residuale è quella della responsabilità della sola persona presente in casa nelle fasi antecedenti la chiamata dei soccorsi». Per quanto riguarda il movente che spinse la madre ad uccidere il figlio, potrebbe essere stato - disse la Cassazione - un banale capriccio del bimbo, anche se non è stato possibile individuare con «certezza la causale o occasione che originò il gesto criminoso». Anche se conta poco, io stesso sono sempre stato colpevolista, specie dopo aver visto al funerale questa donna glaciale, fresca di parrucchiere. con degli inquietanti occhi fissi. Capisco che certe impressioni possano far sorridere e che semmai a creare misteri e interrogativi, utili per alimentare il bailamme che si creò, furono semmai le prime fasi delle indagini e soprattutto i pasticci che si fecero negli accertamenti scientifici sulla scena del delitto che non consentirono di avere quegli elementi probatori che avrebbero evitato tante chiacchiere. Vi fu poi la totale omertà del resto della famiglia Lorenzi, compreso - ho sempre pensato - un marito che scelse di difendere la moglie ad ogni costo e mi è rimasta sempre l'impressione che "sapesse di più". Ma quel che conta non è solo rievocare quei fatti, quanto ricordare come l'occasione divenne utile per accendere i fari, in modo morboso e irrispettoso, su di una piccola comunità alpina come Cogne. Vennero usati i peggiori pregiudizi verso i montanari e costruiti castelli in aria su chissà quali retroscena e liaison.  La fiera della stupidità, come dimostrato in modo esemplare da "Porta a Porta" del sempreverde Bruno Vespa, riassunta nell'agghiacciante ricostruzione in scala del modellino in plastica della villetta di Montroz.