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18 gen 2012

Taxisti in lotta

di Luciano Caveri

Il tentativo di cambiare la situazione dei taxisti nelle grandi città è stato fatto parecchie volte negli ultimi vent'anni da parte di tutti i Governi. Ma la categoria, una grande corporazione simile davvero a quelle medioevali per i meccanismi d'accesso specie per il ruolo chiave della licenza, ogni volta ha giocato la carta del blocco degli aeroporti e del traffico. E ogni volta la politica ha fatto un passo indietro, spaventata dalla reazione. La teorizzazione del «ci lascino stare» l'ho sentita decine e decine di volte, salendo su di un taxi a Roma, dove più che altrove non ci si capisce mai nulla fra cooperative, compravendita e affitto delle licenze, apertura centellinata a nuove auto, scarso controllo su qualità e correttezza e via di questo passo. L'aspetto grottesco sta nel fatto che le licenze sono date dal pubblico e così la fissazione delle tariffe che restano salate, come dimostrato dal tragitto con l'aeroporto di Fiumicino per il quale, se si ha fretta, non si hanno alternative al taxi. Ma a questa logica della stretta regolamentazione pubblica corrisponde la ribellione al pubblico ogni volta che si cerca di fare qualche cambiamento. In qualunque Paese "normale" non sarebbe tollerabile il blocco di intere città con una sorta di tattica da guerriglia urbana. In Italia questo non avviene e i taxisti dettano legge, consci dei costi e dei disagi dovuti alla loro protesta. Mercoledì, per fare un piccolo esempio dovrei, come capo della delegazione al "Comitato delle Regioni", andare a due riunioni a Roma, e so già quale sia il rischio: trovarmi bloccato all'aeroporto di Caselle o a quello di Fiumicino, ostaggio di chi non vuole cambiare mai. Leggo in queste ore che ci sono "liberalizzazioni" più importanti. Verissimo. Ma non sfugge il valore simbolico che ha questa storia infinita dei taxi.