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16 nov 2011

I cambiamenti e l'abbandono

di Luciano Caveri

L'abbandono del territorio mi preoccupa. L'urbanesimo su Aosta e soprattutto nella sua "Plaine" è evidente e lo è sull'intero fondovalle.  Così di conseguenza si registra il costante abbandono di certe vallate e la discesa in alcuni paesi al di sotto di soglie che possono preludere al "rischio scomparsa". E va precisato che certi saldi di popolazione positivi nelle stazioni turistiche, con fenomeni d'immigrazione, restano un "fuoco fatuo". Spesso chi si installa non ha alcuna conoscenza del milieu locale e nessun interesse ad acquisirla. Questi aspetti demografico e sociale si incrociano, dal punto di vista del territorio, con diverse vicende fra di loro collegabili. Faccio qualche esempio a casaccio. Gli agricoltori - ormai in maggioranza solo più allevatori di bestiame - diminuiscono drasticamente. Gli allevatori sono imprenditori che hanno stalle gigantesche e sono sparite le stalle - spesso con una logica part-time - che sfruttavano anche piccoli appezzamenti di terreno. Sparite anche le coltivazioni di cereali, specie segale, il bosco si espande in modo disordinato. Questo vale per i boschi preesistenti, abbandonati a se stessi. Il tradizionale sistema di controllo delle canalizzazioni grandi e piccole, specie con la logica della corvée, è pressoché sparito. Ci sono aspetti contraddittori, del genere: costose strade poderali costruite per evitare l'abbandono della campagna non sono servite all'uso oppure impianti di irrigazione a pioggia, pur utilissimi, hanno cancellato le manutenzioni dei sistemi tradizionali d'irrigazione dei prati. Per carità, le mie saranno impressioni o pregiudizi, ma tutto porta ad una montagna che da regolamentata dall'uomo viene rinaturalizzata in modo selvaggio, dopo millenni di una coltivazione e cura del suolo sino al limitare della vette disabitate. Aggiungiamo, in negativo per il sistema di difesa del suolo, che  i sono i cambi del clima fra riscaldamento globale (con il "permafrost" che si scioglie) e regimi di pioggia quasi monsonici. Insomma: credo che si debbano sincronizzare gli orologi per evitare di lamentarci dell'abbandono e affrontare lo spopolamento reale, spesso attenuato solo in una logica numerica da chi apparentemente risiede nei paesi e ha, invece, il reale domicilio altrove. Non si tratta di fermare in modo astratto i cambiamenti, ma di riflettere sulle conseguenze.