La fine di un dittatore
I dittatori, prima o poi, fanno una brutta fine. La storia lo dimostra dalla notte dei tempi sino ad oggi.
E il dado è tratto con l'uccisione di Muammar Gheddafi, dittatore feroce e gran cerimoniere del terrorismo internazionale. Era solo una questione di tempo e ora siamo davvero ad un passaggio storico e vedremo cosa sortirà dalla "liberazione" di questo Paese strategico soprattutto per le sue importanti risorse petrolifere.
L'Italia esce da tutta questa storia con le ossa rotte e la partecipazione con le forze "Nato" dell'Italia nella recente guerra non ha sanato il vulnus creato da un atteggiamento favorevole a Gheddafi al limite del ridicolo, specie in occasione delle visite romane degne del "Circo Togni".
Il servilismo dimostrato in certi passaggi è stato imbarazzante e diventa difficile cancellarlo, inneggiando al nuovo regime come se nulla fosse.
Francesi e inglesi sono già andati all'incasso, specie del "bottino petrolifero" e l'Italia temo sia uscita di scena, come si nota dagli incontri svolti in una gerarchia che ci ha messo nell'angolino.
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Commenti
L'occasione perduta.
Lo scorso 29 giugno, un gruppo di rappresentanti dei ribelli libici, del quale faceva parte il Ministro della Giustizia del Consiglio Nazionale di Transizione, Mohamed Al Alagi, si recò al "Tribunale Penale Internazionale" dell'Aja.
«Si sono presentati alla Corte - riferì in una successiva conferenza stampa il procuratore della Corte, Luis Moreno-Ocampo - per dire che sono a disposizione per eseguire l'arresto di Gheddafi».
Buoni propositi, andati in frantumi in una manciata di secondi non appena un gruppo di ribelli si è trovato (con l'ausilio della "Nato" ed in particolare dell'"Armée de l'Air" francese, come si è affrettato a rivelare al mondo il neopapà Nicolas Sarkozy) a tu per tu con il tiranno di cui per quattro decenni ha dovuto subire il calcagno fetente. E ha commesso l'errore che si ripete dai tempi di piazzale Loreto, passando attraverso Pol Pot (l'infarto è credibile quanto i numeri del lotto forniti dal mago Do Nascimiento), Ceausescu e Saddam Hussein: pensare che consegnare all'aldilà un dittatore sia il modo più efficace per voltare pagina velocemente. Non lo è, perché "giustizia" e "sommaria" non sono sinonimi, né mai potranno esserlo. Non lo è, perché in un regime che ha avuto modo di metastastizzare nei gangli di un Paese per quarant'anni il problema non è soltanto più la figura al vertice, ma si estende fino agli ultimi gradini della piramide. Non lo è, perché le ferite riportate in un periodo tanto lungo di angherie dittatoriali non possono essere lenite solo assumendo un farmaco chiamato "vendetta".
Verosimilmente, quest'ultima è il modo più spiccio per convincere il resto di un Paese in tumulto, parlando alla "pancia" dei suoi abitanti e fornendo loro uno shock emozionale in grado di riscattare all'istante le loro frustrazioni, che il "CnT" è buono e merita fiducia. E, pensando a come la "primavera libica" sia partita più sull'onda di quelle che hanno incendiato Egitto e Tunisia, che non per un solido moto ideale endogeno, non è fuor di dubbio ritenere che questa convinzione vada indotta nel popolo libico più di quello che ci sembri.
Inoltre, a consigliare elevata responsabilità ai ribelli doveva essere anche il coinvolgimento, in loro aiuto, di istanze internazionali. Assicurare Gheddafi alla giustizia e confrontarlo alla detenzione che avrebbe meritato e che lui stesso ha inflitto a migliaia di persone facendosi un bidet con il Diritto, avrebbe dato un senso alle energie infuse da "Nato" ed alleati nel teatro libico. Così non è andata e se appare eccessivo considerarsi correi di omicidio sommario, sicuramente si può parlare di occasione perduta. Prova ne è il presidente Obama (l'unico al mondo che faticherà a capitalizzare elettoralmente il contributo all'eliminazione, nel giro di un anno, di "Signori del male" quali Osama Bin Laden e lo stesso Gheddafi, ma questa è un'altra storia), estremamente cauto nel parlare, nel suo primo commento, di raggiungimento della democrazia in Libia. Che questa abbia quale primo fotogramma un ventenne portato in trionfo per aver eliminato il "raìss", sottraendogli la pistola d'oro da lui ostentata come un trofeo, non è un segno incoraggiante.
Occorre, da parte dei ribelli, una miglior capacità di regia per il resto del film (specie perché la riottosità tribale sarà il prossimo problema), anche se le briciole che cadranno dal vassoio della ricostruzione del Paese, e che a Stati in crisi come quelli Europei non parrà vero di poter raccogliere, non faranno di questo aspetto un problema particolarmente avvertito.
Giuste osservazioni...
il futuro della Libia sarà difficile, ma bisogna dare ai "ribelli" tutto l'appoggio necessario per stabilizzare il loro Paese. Non sarà facile.
Sulla morte barbarica di Gheddafi, con la novità evidente di una morte ripresa anche dai telefonini, cosa dire? La morte dei dittatori è una scorciatoia utile per evitare processi che potrebbero risultare imbarazzanti e dunque è meglio un dittatore morto che vivo.
Gli Stati africani...
noi li vediamo, sulle carte politiche, belli squadrati e enormi. Ma nella realtà non è così. Non vorrei tediarvi con le mie esperienze, ma a suo tempo, per la pratica di "adozione particolare", di mia nipote, avevo preparato una relazione sul Ciad. Le mie ricerche mi avevano fatto scoprire una società frammentata in centinaia di tribù con la loro lingua, usanze, modi di vivere la religiosità. Il problema nasce quando scopri che non sono frammenti, ma Stati nello Stato, scientemente difesi con le armi.
La Libia, come un tempo la Jugoslavia, aveva bisogno di un uomo forte, con pochi scrupoli pur di tenere tutto insieme, ed ora non c'è più. Dice bene Christian con la sua analisi, ci saranno tempi grami, ma il collante potrebbe (non è detto!) essere il petrolio.