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24 ott 2011

Un altro poeta che se ne va...

di Luciano Caveri

Un altro poeta-montanaro se ne va, di quella generazione - lui era stato con i partigiani di "Giustizia e Libertà", i miei preferiti - che si sta spegnendo per ovvie ragioni generazionali. Quando Andrea Zanzotto aveva compiuto novant'anni, lui, veneto delle Prealpi, ma con il cuore sulle montagne, aveva detto: «Mi piacerebbe tornare in montagna». Era un vezzo, naturalmente, ma leggendo le sue poesie - complesse, difficili e bellissime - si ritrova la montagna più volte.

La poesia "Sì, ancora la neve" comincia così: Che sarà della neve che sarà di noi? Una curva sul ghiaccio e poi e poi... ma i pini, i pini tutti uscenti alla neve, e fin l'ultima età circondata da pini. Sic et simpliciter?

Aveva raccontato ad un giornalista, non a caso: «quando la punizione del fascismo ha costretto mio padre in Cadore. Mi portava a dipingere paesaggi, piante, colline. È cominciata la seduzione. Ed ho continuato a girare le campagne, in bicicletta, passeggiate con amici: un'adorazione». In "Stelle alpine e profumo di montagna" aveva detto degli alpini: «senso dell´onore e coraggio, saldezza morale e capacità di resistere, tradizioni generose e sano amor di patria. Mi sembra si fondi soprattutto su questi valori il mito degli alpini, ed è sempre stato così forte da far loro vincere le infinite guerre della memoria sulle quali ancora si dividono gli italiani, a centocinquant'anni dall'unità. Un patrimonio di umanità che ha ispirato straordinarie pagine di letteratura (dall'Hemingway di "Addio alle armi" ai reportage dal fronte di Kipling, dal "Diario di Russia" di Rigoni Stern ai racconti di Bedeschi) e che li vede ancora adesso pronti ad accorrere nelle ricorrenti catastrofi naturali e nelle emergenze umanitarie (dal terremoto del Friuli a quelli dell'Irpinia e dell'Abruzzo), all´insegna del motto "onorare i morti aiutando i vivi". Sono tratti del modo d'essere degli alpini, ai quali si somma l'amore per la natura e specialmente per la montagna, che deriva loro dalla conoscenza nativa del territorio e dal legame che mantengono con esso». Bello, no? Chissà se ha mai scritto della Valle d'Aosta o se ci passò, quando nel dopoguerra lavorava come insegnante in Svizzera - con uno stipendio da sguattero - in un collegio internazionale vicino a Losanna. Magari qualcuno me lo sa dire.